Carnia: Angela Felice racconta il teatro di Siro Angeli

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di Angela Felice.

(Angela Felice é la maggior studiosa del teatro friulano e dei suoi autori, sia in italiano che in friulano. Direttore del Centro Studi “Pier Paolo Pasolini” e del Teatro Club di Udine, nell’ERT del FVG, organizza con Paolo Patui incontri sul teatro friulano con letture)

 

Per quanto riguarda il Teatro, di cui va ricordata soprattutto la cosiddetta trilogia carnica (La Casa, Mio fratello il ciliegio, Dentro di noi – pubblicata da Chino Ermacora per le edizioni “La Panarie” col titolo complessivo Gente di Carnia  si riportano alcuni stralci del definitivo saggio di Angela Felice Il teatro della sincerità di Siro Angeli (in S. Angeli Anthologica. Il teatro, La poesia, La critica, a cura di Ermes Dorigo, Campanotto,1997), che con sintesi fulminante fissa il tratto dominante dei suoi drammi: «Al di fuori di ogni ipotesi idillico-arcadica, di ogni facile conclusione consolatoria, i testi si chiudono sempre con note di amara, ambigua malinconia».

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«Il teatro di Siro Angeli è (o mi ricorda) un bel sentiero di montagna, che lascia presagire da molti indizi uno sbocco possibile in qualche via più ampia di circolazione, ma che poi si disperde e si perde di vista, per ricomparire infine a tratti, in tracce spaesate di più esigua consistenza spaziale. Sicchè, di quell’accidentato percorso, è difficile o azzardato pedinare le tappe e la direzione nell’intento di esplorare e scoprire una traiettoria definita e una linea complessiva d’orizzonte […]. Va da sé che con tempi di scrittura così diversi, con gli ovvii rimandi ai rispettivi contesti storico-culturali, questi rinviano ad esperienze biografiche e ad ispirazioni artistiche centrifughe e approdano a risultati necessariamente non omogenei tra loro […]. Particolare influenza “nel tirocinio iniziale di Angeli – raccolgo in questo senso un suggerimento illuminante di Ermes Dorigo – dovettero operare l’ideologia e la pratica della letteratura come autosufficienza, totalità, umanità: valori assoluti in grado di soddisfare e conciliare, come nel quindicinale Campo di Marte redatto da Pratolini e Gatto nel 1938-39, tanto gli ermetici quanto i populisti, e tanto, dei primi, il culto elitario e metafisico dell’arte e della parola, quanto, dei secondi, l’assolutizzazione della scrittura letteraria quale strumento privilegiato di un mandato sociale, sensibile alla ragioni astratte dell’umanità, della moralità, del popolo […]”. Quello di Angeli è un teatro centrifugo, dunque, teatro episodico, a corrente alternata, più frutto dell’ostinazione che della vocazione autentica, e del quale continua a sfuggire la logica interna. Del resto, di questa costante della dispersione parrebbe fornire ulteriori conferme, all’apparenza decisive, la stessa eterogeneità sperimentale di temi rappresentati, sul piano dei contenuti, oltre che delle strutture drammaturgiche, su quello delle scelte formali di volta in volta adottate»

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Così si suddivide la sua produzione drammatica: «Dalla disorganicità di questa carriera, con le sue caratteristiche di tentazione intermittente non riversata in vocazione assorbente e privilegiata, danno ragione le stesse date di composizione: un primo momento, dal 1937 al 1939, teatralmente il più fertile e il più noto, e comprensivo di testi (La Casa; Mio fratello il ciliegio; Dentro di noi) poi raccolti nel 1939 come trilogia nel volume Gente di Carnia; un secondo dal 1939 al 1941, che vede comparire, già a ridosso del periodo di guerra, i tre lavori Incontro, Battaglione Allievi, Assurdo; un terzo, che nel dopoguerra si arricchisce di due altri lavori, Male di vivere rappresentato nel 1951, e Odore di terra del 1957; un quarto, infine, cifrato nel 1977 dalla prova isolata di Grado Zero, un ritorno di fiamma teatrale peraltro vagamente spaesato[…] I drammi della cosiddetta “trilogia carnica”, nascono dal bisogno «di aprire uno squarcio sulla vita paesana della Carnia, segnata prevalentemente dalla miseria, dalla necessità di sopravvivenza, dall’emigrazione […]. Con qualche richiamo al Verga verista, se non altro per la tendenza a contrapporre come inconciliabili la legge dominante della sopravvivenza da un lato, e quella della vita sentimentale e affettiva dall’altro, i tre testi non per nulla portano al centro della scena la famiglia: centro di amore e solidarietà per alcuni, luogo di sofferenze e di rinunce per altri»

Chiudiamo con un quadro complessivo di tutta la drammaturgia di Angeli: «La drammaturgia di Angeli evidenzia una intima coerenza, che ne lega con necessità le singole espressioni, al di là delle loro diversificate apparenze esteriori. Sostanzialmente, quel filo di segreta connessione è dato dalle intenzioni metaforiche che ispirano la scena e fanno sì che sempre, di qualsiasi tipo siano le situazioni, gli ambienti o i tipi umani rappresentati, essi servano da schermo per parlare d’altro e di qualcosa d’essenziale: come per il Cristo[Grado zero l’ultimo testo, il dramma di Gesù che ignora la sua natura di figlio di Dio e deve arrivare a scoprire da sé la verità sulla sua vocazione e sulla sua nascita; altri titoli: Battaglione allievi, Incontro, Assurdo,Male di vivere, Odore di terra], appunto, che vive in filigrana come allusione all’interrogativo, tutto umano, sul significato e sul fine dell’esistere. Una medesima concezione del vivere, il senso del dolore cioè che impronta il destino terreno dell’uomo, la ricerca sul perché di tale sofferenza, il dubbio – mai realmente sciolto – sulla vita come caso o come segreto disegno provvidenziale, costituiscono la piattaforma comune, su cui sono concepiti e impostati i personaggi e le loro vicende sceniche. Teatro di situazioni e di quadri più che di azione, esso si iscrive allora nell’area del simbolismo: le realtà portata in scena tende a svuotarsi di ogni oggettività autosufficiente e a rinviare, per la sua comprensione, a un piano universale, estraneo a concreti agganci di ambito storico o geografico. Ciò spiega intanto la linearità dell’itinerario drammaturgico di Angeli e la necessità dello sbocco, dopo gli esordi para-verghiani della trilogia, in prove sempre più astratte, rarefatte, attente ai riflessi interiori delle situazioni. Ma ciò spiega anche il carattere del presunto realismo della scena, anche là dove sembra più apertamente dispiegato, come soprattutto nei testi della trilogia e in parte in quelli del dopoguerra. In tutti, gli spunti ambientali, sociali o economici rimangono in realtà puri fondali d’arazzo e non determinano con necessità di leggi psicologiche, comportamenti, linguaggi. Estranea ad ogni intento folclorico, cronachistico, documentario, sociologico, la Carnia di Angeli, nel mentre dà testimonianza di un definito paesaggio umano della fame, si trasfigura quindi in metafora del male esistenziale, e della colpa che impedisce la gioia, la leggerezza e l’innocenza. Il male si concretizza nella figura della morte, che non a caso compare spesso come una epifania negativa, a metà dei vari testi, a ricordare il mistero o l’assurdo del vivere e a obbligare da sé una risposta […] il male rimane ed è “una forza metafisica”, interna al vivere. E soprattutto, i personaggi, lungi dal dividersi in positivi o negativi e dall’essere giudicati moralisticamente, hanno tutti una loro umana credibilità e si inseriscono in una comune esperienza esistenziale. In particolare, essi animano un teatro della parola, che trova la sua tecnica congeniale nel dialogo e il suo punto di arrivo nel contraddittorio, spesso posto alla fine, tra parti in contrasto di una comune discussione. Allora, le battute dei personaggi, che dapprima avevano fatto affiorare solo una parte della vita interiore rispetto a vaste zone di non detto, di rimosso o di represso, ospitano le voci diverse di una verità umana pienamente dispiegata […]. Non poteva che nascerne quella esperienza di scrittura: frammentaria, disorganica, screziata, eppure legata da una comune atmosfera, perché necessitata a ogni tappa dalla sincerità d’espressione e dal presupposto estetico che l’arte, assolutizzata, può e deve assolvere al solo compito di trasmissione della ricerca di senso. Non poteva che nascerne, anche, una drammaturgia “metafisica”, di problematica e difficile traducibilità scenica, oltre che di scomoda fruizione».

_Foto di Siro Angeli