Carnia: Cleulis, il paese dello storico Trio Pakai

Scemature del 08/08/2016.

Le visite e i siti culturali in genere, condividono la funzione del ricordo. Musei, monumenti, collezioni, sono luoghi di raccolta e conservazione di testimonianze, materiali ed immateriali, dell’umanità e dell’ambiente. Le visite stesse, le gite, le escursioni guidate o non, sono occasione di studio, educazione e diletto, per la conoscenza e la memoria del ricordo. Questa settimana il mio invito è di raggiungere una località e di partecipare a un appuntamento, non tanto perché rientra nella programmazione di un festival o di una manifestazione, fuori dai grandi circuiti e i cui presupposti sono in armonia con l’ambiente ospitante, come sono solito fare. La meta che consiglio è tutt’uno con la persona o le persone che l’hanno abitata e di cui voglio contribuire a preservarne il ricordo. Il luogo è Cleulis, nell’alta Valle del But, dove pochi giorni fa è venuto a mancare un uomo la cui umanità, manifesta tanto nella vita quanto nell’arte, l’ha reso presto un personaggio pubblico, un’istituzione per la Carnia e il Friuli, inviso alla sua disarmante semplicità. La persona è Genesio Puntel, il contrabbassista dello storico Trio Pakai. Ci ha lasciati dopo almeno sessant’anni di musica, balli e allegria che ha disseminato in tutto il Friuli e nei fogolârs furlans d’Europa, Africa, Canada, America. Lui, assieme ad Amato Matiz, il fisarmonicista carnico per antonomasia scomparso ormai trentun anni fa, il chitarrista e autore Paolo Morocutti e la voce di Stefano Paletti, ancora e con gioia con noi, tutti del posto, sono stati il primo esempio di “star” della musica friulana (tra l’altro, i primi in Friuli ad incidere un 45 giri), senza però saperlo, volerlo, senza la minima altezzosità. “Gjenesio” poi, con la battuta sempre pronta e la passione per la vita, sapeva muoversi sul palco come non altri, facendo roteare il suo “liron” a ritmo di musica durante un’esibizione, oppure lo suonava tenendolo abbracciato come fosse una chitarra. Così fino all’ultimo, coi suoi novantun anni. Percuoteva le corde sui ritmi di polke e mazurche, quelle che li han resi celebri, con le mani forti e callose, non di un operaio prestato alla musica, piuttosto il contrario, di un musicista prestato all’edilizia. Che suonasse a orecchio poco importa, fino allo sfinimento, lui che oltre al contrabbasso si divertiva anche con la fisarmonica, da buon polistrumentista, di quelli che la musica la imparano sulla strada, nei borghi, nelle osterie di paese. Ed è lì che la restituiscono, come lui, attorniato da volteggi di dame, ballerini e compagnoni avvinazzati, tutti desiderosi di fare feste ballando le fatiche del lavoro e le ansie della vita. Per questo vi invito ad andare a Cleulis, per bere un bon “tai di neri” in suo onore, allo storico Bar Pakai, dove per mezzo secolo e ancora oggi risuonano quelle melodie diventate eterne. Passate poi a posargli un fiore in cimitero, oppure prima andate sul Moscardo a visitare il piccolo ma prezioso museo domestico dedicato ad Amato Matiz e al Trio Pakai, dove potrete ammirare fisarmoniche, violini, vestiti di scena, premi e tante fotografie. Consiglio infine, oltre all’ascolto della musica del Trio, la lettura di un libro: “Amato Matiz Pakai, un om e la sô armoniche” di Celestino Vezzi, dove l’autore ha raccolto una serie di simpaticissime storie e aneddoti, molti raccontati da Genesio. Teniamo così vivo, con il sorriso, il ricordo di una persona sublime.