Carnia: estrarre a sorte degli amministratori, l’ultima speranza di “Democratizzare la democrazia”

Delio Strazzaboschi – Prato Carnico.

L’attuale democrazia pratica non corrisponde più alla sua idea, specie ora che si accompagna alla corruzione, alla recessione e alla violenza. Il pensiero neoliberista e le leggi di mercato hanno infatti trasformato radicalmente lo spazio pubblico: i vecchi e nuovi media commerciali sono diventati i principali fautori di consenso sociale, e i poteri pubblici li usano per rivolgersi direttamente alla popolazione. Con un cittadino che diventa consumatore, il popolo torna massa (e le elezioni un’avventura). Interessi generali e a lungo termine soccombono a favore di quelli particolari a breve, mentre populismo e antipolitica si sono scatenati come agli anni 20 del Novecento. La democrazia è diventata solo rappresentativa, e quest’ultima si è ridotta ulteriormente alle sole elezioni. Contemporaneamente però l’attenzione per la politica è cresciuta (perché il cittadino non è né un bambino né un cliente), e di conseguenza anche il divario fra ciò che egli realmente pensa e quel che l’uomo politico concretamente fa. La crisi di legittimità e di efficienza dell’attuale democrazia ha così prodotto impotenza, disperazione e collera. Infatti, la quasi totalità degli amministratori pubblici (e perfino civici) risultano inadeguati. Se nelle elezioni politiche vincono i benestanti che possono usare le tv, nelle amministrative locali prevalgono i candidati che si fanno comprare dagli elettori, promettendo cose che non potrebbero né dovrebbero. Una volta insediati, a Roma si fanno corrompere dalle lobbies, mentre in periferia, privi di strategie politiche, aspirano al ruolo dei funzionari, non per assumerne gli obblighi ma per gestire “politicamente” le informazioni e le risorse (per acquisti, incarichi e lavori fino a 40mila euro o per una ricerca di mercato o un invito alle ditte). Eppure il Testo Unico Enti Locali impone che il comportamento degli amministratori debba essere improntato all’imparzialità e al buongoverno, nel rispetto della distinzione tra indirizzo politico ed esecuzione tecnica. Alcuni di loro arrivano addirittura a denigrare all’esterno gli enti che essi stessi amministrano, dimostrando così non solo di non possedere le nuove “specifiche competenze richieste dalla natura dell’incarico”, ma neppure la vecchia “”diligenza del buon padre di famiglia” (Codice Civile). Allora tanto vale smettere di votare (il 40% degli italiani ha già smesso). Ma soprattutto abolire le elezioni. Ed estrarre a sorte i membri delle assemblee nazionali e di quelle locali. E’ ciò che viene suggerito da recenti pubblicazioni, sulla base di alcune esperienze in Canada, Olanda, Islanda e Irlanda. Se la politica sta trincerata dietro le mura del suo castello, se il potere del denaro pesa troppo e se la democrazia è rimasta governo per il popolo piuttosto che dal popolo, il sorteggio di persone realmente libere (che non hanno bisogno di farsi eleggere né rieleggere) può riportare all’ideale ateniese dell’uguaglianza politica e della democrazia deliberativa. A livello locale, una volta estratti a sorte, i futuri amministratori potrebbero partecipare per un giorno retribuito la settimana a sei mesi di formazione obbligatoria, seguendo consigli e giunte comunali e addestramenti specifici su politiche territoriali ed indirizzi amministrativi. Tutte le decisioni di tipo strategico andrebbero poi proposte all’approvazione dell’assemblea della comunità. Democratizzare la democrazia, insomma. Perché “l’ignoranza, l’oblio o la noncuranza dei diritti dell’uomo sono le sole sorgenti delle pubbliche calamità”.