Carnia: festa per i 102 anni di Romano Marchetti

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di Pierpaolo Lupieri

Ho avuto occasione recentemente di scambiare due parole e un bicchiere di vino con Romano Marchetti, il partigiano osovano “Cino da Monte”, 102 anni appena compiuti (26 gennaio), in suddetta circostanza passati un po in sordina, quasi fossero scontati. Più di un secolo scivolato con levità, suo padre fu direttore didattico di Mussolini per capirsi, al tempo maestro tolmezzino irrequieto ed insubordinato. Sorprende la straordinaria lucidità di Romano. Vien naturale chiedergli il mistero della longevità: «mangiare poco, bere un po di più», sorride. Voglio farmi ripetere la profondità dei nomi dati ai figli. Il primo “Euro”, non certo come la moneta unica di oggi, ma come il continente unito di ieri. Mentre i nazisti lo cercavano ancora casa per casa, Romano intuiva con lungimiranza che bisognava rifare l’Europa, martoriata dalla guerra, anche con i tedeschi occupanti del momento, ma cooperanti solidali del futuro. Un’Europa che però Marchetti voleva come Elvio, il secondo, da Helvetia federale e cantonale perché nessuna democrazia può essere tale se non vi è, per ogni cittadino, un “pendolarismo” massimo accettabile dai centri decisionali come nei cantoni Svizzeri. Mazzini e Cattaneo racchiusi nei nomi dei figli. Davvero straordinario come tutta la Sua storia. Se davvero fosse premiato l’ottimismo anagrafico del nostro ex premier Silvio Berlusconi: “arriveremo tutti a 120 anni”, sarei felice che fosse Romano a tagliare per primo questo ambizioso traguardo.

 

Una risposta a “Carnia: festa per i 102 anni di Romano Marchetti”

  1. Bravissimo! Marchetti se lo meritava, siamo quasi amici fraterni; ecco come lo vedo io:

    VIRGILIO

    a Romano Marchetti

    Hai preso per mano e guidato
    nei sentieri della storia
    un incompiuto, istinto di vita
    nella ragnatela della morte
    dell’anima. Perché camminare?
    chiedeva il rinunciatario. So
    già dove mi porti, in un mondo
    di morti. Non sono tutti ragni
    gli uomini, rispondevi antico,
    e con la mano premurosa levavi
    le ragnatele dagli orecchi.
    Ora senti, se pur confusamente,
    brusio chiacchiere voci pianti
    strida lamenti sussurri d’amore
    godimenti: libera i rumori
    che hai dentro e scopri la tua voce.
    L’afasíco balbettava
    fin che modulava il suo nome,
    odiandolo. Panoramico guardati,
    distante da te come da giovane,
    ch’eri più forte del tuo dolore,
    diceva e intanto levava la ragna
    dagli occhi. Si vede lo sradicato
    allora albero tra tanti alberi
    e la pianta antica d’ampia chioma
    e tronco vigoroso e netto accanto.
    Il vento modula variamente le voci
    delle foglie diverse delle piante;
    anche la sua voce, simile ad altre
    o discorde ma in fusa armonia,
    dissonante da altre grevi e ispessite
    duramente da geli indifferenti
    o violente nella loro vibrazione
    acuta o futilmente esili e volubili.
    Accanto una pianticella lo solletica
    con ondeggianti fiori leggeri
    e un’altra accarezza rami con rami
    lievemente. Un attimo dura la gioia
    della vita piena, dice l’antico
    e crolla abbattuto. Intorno cresce
    il vuoto degli alberi caduti, uno
    ad uno. Le pianticelle sono grandi
    e senza resina la sua rude scorza.
    Così va la storia sussurra
    una voce antica: senza la morte non c’è vita.

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