Carnia: l’appello di Ganzer, salviamo gli affreschi di Fossati nel cuore di Tolmezzo

di GILBERTO GANZER.

Quando il grande economista Luigi Luzzato affermava che la Fabbrica Linussio «può essere definita senza esagerazione, come un vero colosso dell’industria» certamente aveva individuato uno dei personaggi piú importanti per lo studio della storia economica della Repubblica di Venezia e anche nel contesto europeo. Protetto da Venezia che sorvegliava attentamente questa crescita industriale e si teneva informata anche attraverso relazioni semestrali redatte appositamente da un notaio di Tolmezzo, rispondeva con risultati sorprendenti, storicamente appurati. Di questa importante realtà ci resta la grande struttura di Tolmezzo, già Caserma Cantore, pronta a offrirci valori di memorie collettive che ancora ci parlano. Lo straordinario complesso, un vero e proprio fuori scala nel contesto urbano di Tolmezzo, necessita di un pronto recupero e valorizzazione nell’ambito non solo strutturale degli edifici, ma anche nella sua nuova complessità di sito ormai cuore dell’area viaria del luogo. È un problema peraltro che non investe solo l’ex caserma tolmezzina ma anche quell’enorme patrimonio di edifici un tempo destinati all’uso militare e che da piú di un ventennio giacciono abbandonati e ignorati in attesa di improvvide demolizioni sbandierando “criticità” burocratiche che in un paese civile dovrebbero essere da lungo tempo superate, dando stura alle piú selvagge speculazioni su aree che andrebbero conservate nella loro integrità, alla faccia dei convegni sulle sostenibilità urbane. Si costruiscono cosí ospedali, strutture pubbliche legate alla gestione tutoria del territorio, scuole e università, grottescamente lontane dai centri urbani che dovrebbero servire, facendo andare in rovina enormi spazi edificati facilmente riutilizzabili, spesso anche di valenza storica ed architettonica. La Fabbrica Linussio può diventare un esempio eloquente per una nuova progettualità anche perché riveste una forte identità simbolica come testimonianza europea di proto-industria, progettuale per gli usi integrati del grande complesso e ambientale ai fini del recupero della vasta area ambientale. Urgente è l’intervento da concretarsi nel corpo centrale che comprende il fastoso salone da ballo, il piú scenografico dell’intera nostra Regione. Ed è proprio un artista-scenografo che lo realizzò: Domenico Fossati, a partire dal fatto che il pittore veneziano vi pose la sua firma autografa, negli anni c’è stato un dibattito acceso sull’attribuzione degli affreschi, ma gli elementi a suo favore sono chiari. L’artista aveva cominciato la carriera come “pittore di ornati” e incisore a fianco di Gian Domenico Tiepolo e Jacopo Guarana e come “scenografo di apparati per feste pubbliche” con il padre Giorgio, a sua volta pittore, architetto e incisore. Aveva ideato e realizzato numerosissime scene per i teatri della Serenissima, ma anche per quelli di Udine, Milano, Monza, Graz. La lettura del complesso decoro del soffitto secondo gli schemi propri del teatro è immediata e risente senza dubbio dell’esperienza accumulata con gli apparati per le feste, come viene chiarito anche dal confronto fra il realizzato e lo studio preliminare presente in una collezione privata, nel quale si era privilegiata una lettura piú elegiaca e piú pittoricamente tradizionale. La struttura della sala è articolata su due piani con balaustra e un bel gioco di porte e decori architettonici inseriti nell’interno della composizione affrescata; colonne dipinte ritmano il percorso di entrambi i piani e al piano terreno tra le colonne che sono affiancate da finte nicchie con figure allegoriche sono ospitate quattro scene di ambientazione storica fortemente influenzate dall’esperienza maturata in campo teatrale. Il taglio delle composizioni e l’organizzazione dello spazio rimandano ai tanti bozzetti su questi temi realizzati dal Fossati. L’illuminazione, poi, sottolinea l’artificiosità dei fondali e la netta differenza fra lo spazio teatralmente praticabile e le quinte. L’indagine condotta da Gianluca Macovez ci renderà a breve una piú puntuale definizione di questo notevolissimo apparato che è un unicum nella nostra Regione e deve necessariamente essere preservato quale una delle testimonianza “principe” dei rapporti tra la capitale, Venezia, promotrice di modelli culturali per tutta Europa e la patria del Friuli, soprattutto nel 18° secolo. Sarà anche una pagina che chiarirà la produzione dell’artista veneziano nei suoi termini artistici e cronologici come già suggerito dallo studioso Massimo de Grassi che attribuisce all’artista l’intero complesso decorativo. Se San Leucio a Caserta fu restaurata con i fondi della Comunità Europea (e non pochi) non si vede perché questo complesso così importante, costruito con le sole forze di un privato e non di un re, non possa meritare le stesse provvidenze. Pertanto è doveroso l’impegno della nostra Regione in sede comunitaria nel rivendicare i necessari aiuti in concerto con l’impegno degli enti locali, dell’università e di tutte le istituzioni che potranno trovare in questo grande sito un luogo ove sviluppare progetti di ricerca ed incubatori di potenzialità d’impresa. Sono certo che di fronte a questa sfida le nostre istituzioni saranno presenti e incideranno spero per il riutilizzo di quell’enorme patrimonio che insiste nella nostra Regione. Enormi sono gli spazi che una progettualità attenta potrebbe ridefinire nelle città, ma anche nei singoli comuni , ovviando cosí alla desertificazione del territorio, concretata con demenziali “de-localizzazioni” utili per ulteriori costi a carico di un’utenza ignara di tali alate idee.