Carnia: si renda l’onore ai fusilâz di Cercivento

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Nel mese di luglio Historia Gruppo Studi Storici e Sociali Pordenone trasferisce la propria attività in Carnia, a Cercivento, in sinergia con “Carnia in Movimento” di Renato Garibaldi, discendente dell’Eroe dei Due Mondi. Primo appuntamento, venerdì 11 luglio alle 20.30, all’Agriturismo Bosco di Museis, località Muser, con il medievista Franco Cardini, che parlerà di “Guerra e cultura della guerra dal medioevo all’anniversario della prima guerra mondiale”. Sarà l’occasione per presentare le riedizioni (il Mulino) di due opere miliari di Cardini, “Quell’antica festa crudele” e “Alle origini della cavalleria medievale”. Secondo appuntamento venerdì 25, stesso ora e stesso luogo: don Pierluigi di Piazza del Centro Balducci di Zugliano e Arturo Pellizzon del Gruppo Historia tratteranno il tema “Il mito della Grande Guerra. Vittime e propaganda”. Coordinerà entrambi gli incontri Guglielmo Cevolin, presidente di Historia.di LUCIANO SANTIN Per restituire l’onore ai fusilâz di Cercivento, i quattro alpini friulani passati per le armi nel corso della Grande Guerra in quanto colpevoli di non aver eseguito un’azione suicida, proponendo un’alternativa, sta nascendo un comitato. L’intento è quello di coinvolgere le istituzioni locali, a tutti i livelli in un appello al Quirinale per quell’atto di riabilitazione che la Carnia attende da tempo (l’amministrazione di Cercivento ha persino eretto una stele alla memoria). Hanno dato sinora la loro adesione lo scrittore Mauro Corona, il giornalista Paolo Rumiz, don Pierluigi Di Piazza, responsabile del Centro Balducci di Zugliano, lo storico Andrea Zannini, l’attore Massimo Somaglino, l’ex senatore carnico Diego Carpenedo, l’avvocato Bruno Malattia, l’europarlamentare Isabella De Monte, oltre a Renato Garibaldi, presidente di Carnia in movimento, e a Mario Flora, nipote di uno dei quattro ragazzi uccisi. L’esecuzione immediata della sentenza avviene il 1º luglio 1916. Sono le quattro del mattino, e la prima luce aureola le cime boscose attorno a Cercivento, quando un piccolo corteo militare si snoda verso il cimitero. Legati, quattro alpini del battaglione Monte Arvenis. Assieme al prete e al plotone d’esecuzione. Tre ragazzi carnici e uno della Pedemontana: il caporal maggiore Silvio Gaetano Ortis da Paluzza, il caporale Basilio Matiz da Timau, il caporale zappatore Giovan Battista Corradazzi da Forni di Sopra e il soldato Angelo Massaro da Maniago. Condannati a morte due ore prima, in base all’articolo 114 del codice militare: rivolta in faccia al nemico, sul Cellon. Di fronte all’ordine di un attacco frontale, in piena luce, per prendere la vetta, hanno avanzato l’idea di attendere la notte e il levarsi della nebbia. Sono soldati ligi e coraggiosi (Ortis già decorato in Libia), ma i comandi diffidano dei carnici, e Cadorna ha da poco emesso una circolare feroce, chiedendo il massimo della severità, così l’osservazione basta a far scattare la pena capitale. Il codalat che porta al camposanto è presidiato. I carabinieri bloccano anche i viottoli che intercettano il breve tragitto. Ma in giro, a quell’ora dell’alba, c’è già gente. Donne che vanno allo sfalcio, soprattutto. Qualcuna si nasconde e assiste alla scena, altre scorgono tutto dalle alture poco sopra il paese. E il loro racconto costituirà parte del corpus orale che consentirà, ottant’anni dopo, di ricostruire la vicenda. I quattro vengono legati alle sedie già disposte sul prato e fermate con sassi. Le mostrine dei graduati, che devono essere ritualmente strappate per disonore, non cedono, occorre tagliarle con la baionetta. Intanto don Luigi Zuliani, il parroco di Cercivento, nella cui chiesa è stato celebrato il fulmineo processo, protesta, supplica, piange. Dice che vuole appellarsi alla regina per la grazia, si offre volontario per sostituire i quattro condannati. I carabinieri lo portano via di peso, su un carro. La scarica uccide tre dei prigionieri. Matiz, solo ferito, si rotola urlando per terra. Lo raccologono e lo rimettono sulla sedia. Di nuovo il comando: «Fuoco!». Ma il caporale non muore ancora, si contorce a terra nel sangue, sinché il comandante del plotone non gli si avvicina e gli esplode tre colpi di pistola alla testa. Un anziano del luogo, da lontano, si mette ad urlare: «Vigliacchi di italiani, siete venuti solo a portare guerra qua! Abbiamo sempre mangiato con gli austriaci e mai con gli italiani, e adesso venite ad ammazzare i nostri figli, vigliacchi!». L’ufficiale gli risponde secco: «Vecchio taci, che ce n’è anche per te». Mancano due minuti alle cinque, ormai è giorno chiaro. La sentenza 5.924 è stata eseguita. I corpi delle vittime non vengono resi ai familiari, che vorrebbero almeno un funerale. I nomi non verranno annotati tra i caduti. Giustizia è fatta. La storia dei fusilâz de Ciurciuvint, una delle tante tragiche e vergognose vicende che hanno costellato la Grande Guerra, non è nota in Italia. Ne hanno scritto la giornalista Maria Rosa Calderoni (La fucilazione dell’alpino Ortis, Mursia) e il carnico Diego Carpenedo, ex senatore dc (La compagnia fucilati, La Nuova Base). E se ne sono occupati parlamentari, ministri, presidenti della Repubblica, cui era stato ripetutamente chiesto di adoperarsi per una revisione del procedimento giudiziario. Le autorità militari prima hanno opposto la norma che consente la presentazione della richiesta ai soli interessati, poi hanno aperto e immediatamente chiuso il fascicolo, confermando la sentenza, dal momento che le nuove testimonianze non erano state raccolte in maniera rituale e che di conseguenza il quadro probatorio era rimasto immutato. Tra gli elementi a carico degli «agenti principali», il fatto che «parlottavano sempre tra loro», e che uno fosse stato sentito dire: «Non dobbiamo andare a farci ammazzare da stupidi». In Francia e in Inghilterra, tempo addietro, non si è guardato tanto al mutamento degli elementi processuali, ma a quello del comune sentire. A Craonne, luogo di stragi e di diserzioni, il presidente Jospin ha tenuto anni addietro un memorabile discorso annunciando il «pieno reintegro nella memoria della nazione» dei disertori e degli autolesionisti. Qui, non si è ancora voluto compiere un gesto di umana comprensione verso quattro ragazzi che scelsero la vita alla morte insensata in una guerra che oggi, con parole che risplendono sempre più luminose, papa Benedetto XV definì «inutile strage». Ma, forse, il centenario offrirà l’occasione per un ripensamento.

Una risposta a “Carnia: si renda l’onore ai fusilâz di Cercivento”

  1. Non è il solo caso, in Friuli ce ne sono stati parecchi di ammutinamenti specialmente nel 1917 quando le truppe erano stanche.

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