Forni Avoltri: quando nel 1977 lo scrittore Gore Vidal venne in Carnia per cercare le radici della sua famiglia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo due saggi di Ermes Dorigo sulle origini Carniche dello scrittore Gore Vidal recentemente scomparso

1 – sulle origini carniche del grande scrittore americano Gore Vidal

 Avevo sentito spesso delle voci, ipotetiche o asseverative,  sulle origini carniche della famiglia di Gore Vidal, “il più caustico enfant terrible delle lettere americane”, come lo ha definito Fernanda Pivano; per cui, per verificare la fondatezza o meno di tale affermazione, ho iniziato a compiere delle ricerche, mettendomi in contatto, un po’ come il ‘postino/Troisi con Neruda, con lo scrittore; l’analogia risiede nel fatto che,  nato nel 1926, venuto a Roma per la prima volta nel 1948, compiendo una gita sulla costiera amalfitana, s’innamorò  di Ravello, dove acquistò la splendida villa La Rondinaia  e dove vive dal 1963.

Ha al suo attivo più di una trentina di libri tra romanzi e raccolte di saggi e  una produzione straordinaria per versatilità nel campo del cinema, della televisione e del teatro.

Nel 1950 aveva comperato una tenuta a Barrytown e si trovò vicino di casa del presidente americano Franklin D. Roosevelt, del quale il padre Eugene era uomo di fiducia; da qui, forse, derivò l’interesse per la politica, che lo portò nel 1960,  anche perché già orientato in tal senso dal nonno, il famoso senatore cieco Th. P. Gore, a presentarsi come candidato per le elezioni al Senato nel distretto di New York e nuovamente nel 1982, quando mancò l’elezione per una manciata di voti.

Nella sua narrativa si possono individuare due filoni: quello satirico ‘di fantasia’ e quello storico, che lo ha reso famoso, anche perché rispondente alla sua più profonda convinzione: “La memoria è l’unica cosa che abbiamo”: si possono ricordare ‘Julian’, 1964, storia dell’imperatore Giuliano l’Apostata; la sua trilogia sulla storia d’America, dalla rivoluzione del 1776 ai giorni nostri:’ Washington D.C.’, ‘Burr’, ‘1876’, cui seguirono ‘Lincoln’, ‘Empire’e ‘Hollywood’.

Memoria e ricordo, sottrazione di persone e avvenimenti alla furia del tempo distruttore, non solo della ‘grande’ storia, ma anche di quella personale e familiare con una ricerca documentale quasi vorace, come ho evinto dalla sua autobiografia, che mi ha inviato: Palimpsest – a memoir -, Abacus, London, 1999, nella quale scorrono, anche in fotografie, personaggi e amicizie importanti: Tennessee Williams, John Kennedy, grande protagonista del libro, che lui chiama Jack,la sorellastra Jacqueline Kennedy verso la quale è talora caustico talora sarcastico, Anaïs Nin,  Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Paul Newman e Joanne Woodward, Steinbeck, Faulkner, Hemingway e Truman Capote, che gli sta proprio sulle scatole, per citarne solo alcuni. E dove troviamo anche notizie sulla sua genealogia.

Ho realizzato pertanto un montaggio: le parti tra caporali («») sono ricavate dalle lettere che mi ha inviato; il resto, come pure le fotografie, appunto da Palimpsest, dove “Forni à Voltri”(testuale) è citato a pagina 401.

«La mia stirpe dei Vidal (mai con la vocale alla fine del nome) per la prima volta compare a Feldkirch, Voralberg, Austria, circa nel 1300. Siamo stati farmacisti per molte generazioni e abbiamo costruito la Vidalhaus intorno al 1370, recentemente abbattuta. Per ragioni a me sconosciute, ci siamo spostati negli anni 1580/90 a Forni Avoltri, dove abbiamo continuato, presumibilmente, la tradizione familiare del commercio farmaceutico (sospetto che con la famiglia veneziana che fabbrica il Sapone Vidal ci sia un legame). Mio padre aveva avuto tra le mani, poi andato smarrito, un medaglione di vetro colorato, che era tramandato di generazione in generazione: raffigurava un farmacista barbuto dietro a un bancone, scolpito in basso ‘C.V. ,1589’».

«Nel1799, acausa di Bonaparte, un mio antenato arruolato in un reggimento svizzero  combatteva per il re di Spagna proprio contro Napoleone, Eugen Fidel Vidal ritornò a Feldkirch, riscattò la Vidalhaus e si sposò con la figlia del Burgermeister Herzog. Il loro figlio Eugen (o, forse, Felix, non ho documenti al riguardo) sposò la figlia di Carolina de Traxler & Ludwig Hartmann, Emma (nata circa 1800) ed emigrò a Racine, Wisconsin. Carolina venne in America nel 1848 per stare con Emma. Sulla sua lapide si legge che nacque a Cartagena e suo padre (sappiamo) nacque a Valencia al tempo del reggimento della famiglia. Il loro figlio Felix si spostò nel S. Dakota, suo figlio Eugene (mio padre) a West Point. Un Traxler (suo nonno?) -erano, come ho detto, per un certo verso, soldati mercenari svizzeri – nacque a Napoli dove suo padre era Capitano delle Guardie Svizzere del re Borbone delle Due Sicilie».

«Non ho saputo niente della migrazione friulana o qualcosa del mio legame col Friuli fino al 1970, quando un giornalista cominciò a fare delle ricerche – a scuola c’era un Bergamini che mi disse essere un mio conterraneo.  Questo ricercatore, recatosi a Forni à Voltri, il paese nel Friuli dove abbiamo trascorso due secoli sotto il dominio veneziano, studiò i registri parrocchiali rimasti e conobbe un prete, che aveva anche lui interesse per la nostra famiglia:  “ Sono – disse il prete -, penso, di origine ebrea”. Il mio ricercatore, un mite intellettuale italiano con una passione per i documenti antichi, voleva sapere come, dato che la famiglia era stata cattolica dal 1300, qualcuno potesse ricordare cos’erano stati prima? “Devi capire – rispose con un allegro sorriso – che nei paesi italiani alcune dicerie sono eterne… Dai registri parrocchiali di Forni e  di Feldkirch ho ricavato i nostri matrimoni dal 1500 circa al 1800 circa. Le nascite e le morti sono sparite. Per due volte abbiamo sposato Romanins; poi una Maria della Valle e una Maria di Sopra, donne senza nomi di famiglia: Maria della valle, Maria di sopra. Abbiamo sposato dei Baldegg, degli Hartmann, degli Herzog… tutti nomi un po’ ambigui che gli ebrei convertiti potrebbero aver preso. Chiesi al mio agente veneziano a proposito dei Romanins. Li conosceva: “Vengono da Padova, sono una ricca famiglia ebrea, come i Rothschild.” Alain Vidal-Nacquet, il nipote del filosofo francese, disse: “Certo che siamo ebrei.” “Il ramo dei Nacquet?” “No, i Vidal”. Vidal è un nome comune in ogni paese latino, deriva da ‘vitalis’, il genitivo della parola ‘vita’. Un ebreo convertito prende un nome neutrale, comune piuttosto che uno che avrebbe potuto attirare l’attenzione. Negli anni ’70 un vecchio studioso pubblicò a Feldkirch un opuscolo sulla Vidalhaus ela famiglia. Questo provocò solo più confusione. C’erano due famiglie Vidal. Entrambe erano estinte o andate via, una era ebrea e una romancia. Quale eravamo? Avevo sempre pensato d’essere romancio, una razza presente solo nelle Alpi, Comunque, avendo interesse per questo argomento, chiesi a mio padre Gene se sapesse qualcosa della nostra origine ebrea. Lui mi rispose che la domanda era molto divertente e che c’era una sola famiglia ebrea a Madison e che si era tutti molto gentili con la figlia, perché si sentiva fuori posto. Per quanto riguarda la nostra famiglia lui pensava che era impossibile. L’unico segreto oscuro che i Vidal sentirono l’obbligo di mantenere fu che erano cattolici di discendenza italiana, e tutti gli italiani erano guardati dall’alto in basso quando lui era giovane. A West Point, nell’annuario, Gene era conosciuto come “Tony, l’immigrato italiano”, mentre Eisenhower era conosciuto come “Ike, l’ebreo svedese”.  Questi ragazzi a West Point avevano l’occhio acuto…

Tutto  interessante; comunque, dopo 600 anni di Cattolicesimo Romano, dopo una sola generazione vissuta negli Stati Uniti, siamo diventati protestanti. Non ho nessuna notizia sul Friuli in generale, e di conseguenza di noi e della nostra famiglia, mi piacerebbe averne». Gli ho inviato allora alcune riviste sulla Carnia e alle domande che gli ponevo, cioè che cosa ne pensasse di questi paesi, che l’artista Sol Lewitt ha definito “alla fine del mondo” e se fosse giusto che scomparissero nella loro specificità, ingoiati dall’omologazione, mi ha risposto: «Sono in favore delle diversità – Il Centripeto sul Centrifugo – ma tutte le tribù mettono su le loro autonomie – Non appena risulterà chiaro che da sole non ce la faranno, formeranno ogni tipo di federazione e leghe nell’interesse del commercio, etc».

 

2 – Gore Vidal: L’unica volta del grande scrittore americano a Forni Avoltri nel 1977

 

“Arrivò insieme allo zio, un generale dell’esercito degli Stati Uniti che era stato in Italia ai tempi della Liberazione, senza preavviso un pomeriggio d’autunno del 1977 con un taxi Mercedes da Venezia ed entrò nel negozio del mio nonno materno Michele, perché lesse la scritta ‘Panificio Vidale’– mi racconta Benedetta Romanin, mia ex allieva, ‘benedetta’ di nome e di fatto -. Io avevo quattro anni – nella foto di gruppo sono in braccio a mia nonna Gina, accanto a mio fratello Germano sulle ginocchia di mia madre Daniela; dietro, sempre seduto, è nonno Michele. In piedi sulla destra, un po’ piegato in avanti, lo zio Felix L. Vidal e in ginocchio lo scrittore Gore -.  Le racconto un racconto, dunque, perché ero troppo piccola, per ricordarmi da sola.  Dicevo che arrivò da Venezia dove, fatta una breve ricerca, aveva scoperto che il ceppo originario della sua famiglia proveniva da Forni Avoltri” (Gore ‘sospetta’  che con la famiglia veneziana del sapone Vidal ci sia un legame).

Gore Vidal, che un tempo, non senza un certo narcisismo, amava essere definito “l’ enfant terribile delle lettere americane”, e che ora preferisce la recente definizione, sempre della Pivano, di “miglior autore americano vivente”, ha assorbito dal nonno, il senatore cieco Pryor Gore, l’amore per la storia e per la ricerca e la documentazione (“con la diligenza di chi ha metodo, studi, pazienza e, soprattutto, rispetto di sé”) ed è divenuto un cultore non solo della ‘grande’ storia, ha scritto, infatti, una sua “Biografia dell’America”, una colossale storia degli Stati Uniti in sette romanzi dalla rivoluzione del 1776 ai giorni nostri (Burr, Lincoln, 1876 – inviato come ricordo della visita con dedica: “Per la famiglia Vidale. Augurii!, Gore Vidal Roma, Via Torre Argentina, 21” –, Empire, Hollywood, Whasington DC., The golden Age), ma anche di quella personale e familiare, sulla quale ha svolto una ricerca documentale meticolosa e puntigliosa, come si evince dal suo recente libro, Palimpsest – a memoir (tradotto in italiano, Palinsesto, dall’editore Fazi). Una ricerca che lo ha condotto ad un’opera di scavo sulle origini del suo casato, che ha radici appunto a Forni Avoltri (nel libro autobiografico: Forni à Voltri), delle quali va fiero, come ha evidenziato Marco Mascardi, sottolineandone nel suo articolo Gore Vidal, il dissacratore sorridente, il “ passo da alpino in salita” e scrivendo: “Quanto al cognome, ne conserva la pronuncia italiana perché ricorda sempre con un certo orgoglio l’ascendenza friulana dei suoi. Anzi, spinge la sua divertita vanità fino a sottolineare i tratti veneto-friulani del suo viso, del quale preferisce il lato sinistro. Sembra molto orgoglioso, insomma, di non assomigliare a John Wayne”.

In verità – come ricaviamo da Palinsesto e da una mia informazione diretta -, non aveva saputo niente del suo legame col Friuli fino a pochi anni prima, quando un giornalista aveva cominciato a fare delle ricerche – negli elenchi degli allievi della scuola, che Gore aveva frequentato, trovò un Bergamini che gli disse essere un suo conterraneo. Questo ricercatore, recatosi a Forni Avoltri, il paese del Friuli dove questo suo ceppo dei Vidal, come appurò con ricerche successive,   trascorse due secoli sotto il dominio veneziano, studiò i registri parrocchiali rimasti. Da questi e da quelli di  Feldkirch (il paese austriaco, come vedremo, ‘culla’ dei Vidal, mai con la vocale alla fine del nome, ci tiene a precisare Gore)   il ricercatore ricavò i matrimoni dal 1500 circa al 1800 circa, le nascite e le morti erano sparite, da cui risultò che per due volte sposarono delle Romanins (“Chiesi al mio agente veneziano a proposito dei Romanins. Li conosceva e mi disse che  venivano da Padova, una ricca famiglia ebrea, come i Rothschild.”); poi una Maria della Valle e una Maria di Sopra. Vidal, secondo Gore, è un nome comune in ogni paese latino, deriva da ‘vitalis’, l’aggettivo della parola ‘vita’. Sempre negli anni ’70 un vecchio studioso pubblicò a Feldkirch un opuscolo sulla Vidalhaus e la famiglia. Questo provocò ancora più confusione. E certi dubbi non furono risolti neppure nel colloquio di Forni Avoltri: “ Lo zio – continua Benedetta -, che parlava abbastanza bene l’italiano, e lo scrittore fecero una chiacchierata con nonno Michele, che disse loro di essere un Vidale dei Cek, come definiscono il suo casato, in quanto si sarebbe insediato lì, provenendo dalla Cecoslovacchia. Gore sapeva di avere degli antenati in Austria… forse erano gli stessi, in quanto ai tempi dell’Impero Austro-Ungarico… Il nonno disse anche che dei Vidale di Cek emigrarono in America… Siccome il padre dello zio di Gore si chiamava Federico, mio nonno disse con entusiasmo che molti suoi parenti e antenati portavano questo nome, ma poi rifletté che questo non voleva dire molto, in quanto in quei tempi Federico era un nome abbastanza diffuso…”.  Da quel momento Gore si appassionò a questa ricerca, che condusse in prima persona e ricostruì, riferisco in sintesi, come segue: la stirpe dei Vidal per la prima volta compare a Feldkirch, nel Voralberg in Austria, circa nel 1300. Lì i Vidal furono farmacisti per molte generazioni e costruirono la Vidalhaus intorno al 1370, recentemente abbattuta. Per ragioni  sconosciute si spostarono negli anni 1580/90 a Forni Avoltri, dove continuarono, presumibilmente, la tradizione familiare del commercio farmaceutico: suo padre aveva avuto tra le mani, poi andò smarrito, un medaglione di vetro colorato, tramandato di generazione in generazione,  raffigurante un farmacista barbuto dietro un bancone, con la scritta scolpita in basso: “C.V.,1589”.

Nel1799, acausa di Napoleone – un suo antenato arruolato in un reggimento svizzero  combatteva per il re di Spagna proprio contro Bonaparte – Eugen Fidel Vidal ritornò a Feldkirch, riscattò la Vidalhaus e si sposò con la figlia del Burgermeister Herzog. Il loro figlio Eugen (o, forse, Felix, non ci sono documenti certi al riguardo) sposò la figlia di Carolina de Traxler e Ludwig Hartmann, Emma ed emigrarono a Racine nel Wisconsin; il loro figlio Felix si spostò nel S. Dakota; l’altro figlio Eugene (padre di Gore) a West Point; il padre fu uno dei primi piloti militari, fondò tre squadriglie aeree e fu Ministro dell’Aviazione durantela presidenza Theodore Rooseveltdal 1933 al 1936.

Da un’ulteriore ricerca, a complicare le cose, emerse che c’erano a Feldkirch ben due famiglie Vidal, entrambe  estinte o andate via, una ebrea e una romancia. A quale apparteneva quella di Gore, che aveva sempre pensato d’essere romancio, una razza presente solo nelle Alpi? Avendo interesse per questo argomento, chiese a suo padre Gene se sapesse qualcosa della loro ipotetica origine ebrea ed egli  gli rispose che per quanto riguardava la loro famiglia pensava fosse impossibile e che  l’unico segreto oscuro che i Vidal sentirono l’obbligo di mantenere fu che erano cattolici (però, dopo una sola generazione vissuta negli Stati Uniti erano diventati protestanti)  di discendenza italiana, poiché tutti gli italiani erano guardati dall’alto in basso quando lui era giovane; a West Point infatti, nell’annuario, Gene era conosciuto come “Tony, l’immigrato italiano”.

“ Gli unici veri nemici dell’Italia, secondo Vidal – mi dice in conclusione Benedetta – sono gli italiani”. “E della Carnia?” le chiedo. “Ma perché non invitarlo – continua -, concedendogli magari la cittadinanza onoraria? In fin dei conti vive a Ravello sulla costiera amalfitana…. Sarebbe anche un’occasione, dato che lui sostiene che ‘la memoria è l’unica cosa che abbiamo’, per un dibattito approfondito sulle ‘radici’ e sull’importanza in questo momento storico della conservazione della memoria individuale e collettiva; e, perché no?, una grande pubblicità indiretta per tuttala Carnia.” Girola domanda a chi di dovere.