Friuli: Penne nere ai fornelli, ecco le ricette per la gavetta

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di Emanuela Masseria.

Le penne nere ai fornelli erano capaci di oscillare tra una pasta pericolosamente scotta e un “risotto futurista all’alchechengio”. Questo e altro si evince da “Il quaderno di Cucina degli Alpini. Storie, aneddoti, ricette” a cura di Elisabetta Michielin per Kellerman editore. Il volumetto, scritto in bella calligrafia da Nicoletta Piol e illustrato da Roberto Da Re Giustiniani, è stato presentato ieri a Gorizia nella sede dell’Ugg in occasione della Mostra Assaggio vini e in collaborazione con la Leg. Nelle pagine di questo lavoro non c’è niente di scontato e anche qualcosa di difficile da immaginare, per una pubblicazione che rivela, per la prima volta, non solo il modo di mangiare, ma anche di pensare degli Alpini. Ci si destreggia cosí tra “Polpette di carne in scatola”, “Gnocchi senza patate” e “Pane russo Borodinski”, per una cucina inventata da un corpo militare in pace e in guerra, tra alimenti semplici e guizzi fantasiosi che arginano la semplice sopravvivenza. Una gastronomia tramandata anche grazie alla letteratura, come “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern o “La pelle” di Curzio Malaparte. La pordenonese Michielin, «lettrice compulsiva e webdesigner», ha fatto uscire questo quaderno a ridosso dell’Adunata degli Alpini e lo ripropone. Non mancano nemmeno raccordi con il contemporaneo, dove gli “orti di guerra” ci riportano a un’Italia autarchica prima che si inventasse l’espressione “km 0”. Da questi campi, concimati con rifiuti e l’acqua dei piatti da lavare, uscivano spesso rape con cui preparare “L’insalata calda del legionario”. Per non intristirci, si può ripensare alla ricetta degli alchechengi, dato che, per i Futuristi, «la pastasciutta non è il cibo dei combattenti». Marinetti chiese addirittura l’abolizione della pasta. Per i Futuristi, in guerra o meno, mangiare era «un’operazione complessa e multisensoriale per la quale servono “formule”, e non “ricette”. Da qui la necessità di un risotto con un frutto quasi quadro, dotato praticamente di ali e “velocissimamente digeribile”. Sicuramente lo era di più degli spaghetti cotti in 18-20 minuti, come si cita nel volume. In ogni caso, non andava sempre così bene. Potevano arrivare “bucce di pisello e croste di formaggio”, un “arrosto morto”o “un fritto della disperazione”. L’appetito però era buono davvero.