Friuli: con il caso Vidoni emerge il il crollo dell’edilizia, chiusa un’impresa su tre

di Michela Zanutto.
Un’impresa su tre ha chiuso i battenti in regione fra il 2008 e il 2015, ben 820 realtà. All’indomani dello scoppio del caso Vidoni è bene guardare ai dati. Anche perché la sorte peggiore tocca agli operai, in questo caso la variazione in sette anni è negativa del 43 per cento: da 14 mila 328 a 8 mila e cento. Maglia nera nella classifica provinciale, modulata sui dati delle quattro Casse edili, è Pordenone. Nella Destra Tagliamento gli operai persi toccano quota 49,3 per cento, passando da 3 mila 752 a mille 902 addetti fra il 2008 e il 2015. Meno 850 posti. Segue di poco staccata Udine, con il taglio del 44,8 per cento (meno 2 mila 914 operai). A Trieste l’emorragia riguarda mille 135 addetti (meno 41,6 per cento) e a Gorizia 329 (meno 24,5 per cento). Posti di lavoro persi a causa della chiusura delle imprese. «Il caso Vidoni è esemplificativo dell’ennesima impresa che svolge la sua attività prevalentemente con gli appalti pubblici e si trova in condizioni di difficoltà – sottolinea Mauro Franzolini, segretario generale della Fenea Uil –. Gare di appalto al massimo ribasso, scarsissima remunerazione del lavoro svolto e dei margini di utile sono le condizioni in cui operano le imprese e i lavoratori del settore edile. Se nel nostro Paese non cambia il rapporto fiduciario tra soggetto appaltante ed esecutore delle opere, le imprese che sopravviveranno e che agganceranno la ripresa saranno una esigua minoranza». È proprio nella chiusura delle imprese edili che si leggono tutte le difficoltà del settore. Il tracollo in questo caso è a Udine, dove le realtà edili passano da mille 335 a 784. Meno 551, pari al 41,3 per cento. Distaccata di pochi punti è ancora una volta Pordenone, con 299 imprese in meno (il taglio è del 37,8 per cento). Seguono Gorizia (perse 99 imprese, pari al 30,5 per cento) e Trieste (167 imprese, il 29,7 per cento). Ma come uscirne? «Sono percorsi difficili da invertire in tempi brevi – aggiunge Franzolini –. Ci vorrebbe un piano di investimenti generalizzato nel comparto edile. Un intervento straordinario in attesa che riprenda una richiesta di abitazioni private, spinta dalla ripresa del comparto industriale e quindi dell’occupazione». Il compito di “tirare la carretta” spetta proprio alle opere pubbliche: «Ma in questo senso la Terza corsia è paradigmatica di un sistema in difficoltà –chiosa Franzolini –: c’è stata una fatica incredibile a reperire le risorse e mettere in cantiere un’opera ideata tantissimi anni fa. Ma ormai in 15 anni è cambiato il mondo ed è evidente che se lo Stato ci mette così tanto tempo a eseguire un’opera, l’Italia perde in competitività».