Friuli: le tradizioni popolari della settimana santa

di CRISTINA BURCHERI

Con la Domenica delle Palme iniziano le funzioni della Settimana Santa caratterizzata da una complessa e ricca liturgia. Nel Friuli di una volta, spento l’ultimo rintocco del Gloria del giovedì santo, le campane venivano legate, restando così mute. Il loro suono veniva sostituito dal rumore delle raganelle (scaràssulis e batecui) . Questi rudimentali strumenti di legno erano usati dai ragazzi che avevano anche il compito, in questi giorni, di lucidare i catenacci del focolare trascinandoli con gran chiasso per le vie del paese. Questi rumori servivano, a seconda delle circostanze, a richiamare i fedeli alle funzioni, a simulare il terremoto e i fragori temporaleschi che accompagnarono la morte di Cristo, a ricacciare la morte e le tenebre… tale uso trova cenno anche nei registri del Cameraro di Gemona fin dal 1329.<br />
«Il giovedì santo è indicato per certe operazioni agricole, specialmente per piantare le viti e seminare l’erba medica» annotava e fine Ottocento Valentino Ostermann ne “La vita in Friuli” confermando che: «quando alla messa solenne del giovedì il prete intona il Gloria in excelsis Deo, suonano secondo il rito tutte le campane, che restano poi mute fino al Gloria del sabato santo».
Ancora l’Ostermann ci informa che, a Gemona così come in altri paesi, era costume, la sera del giovedì santo, mettere in scena una particolare processione «per andare in cerca di Gesù Cristo».
Da giovedì a sabato santo era anche tempo di digiuno. Nelle campagne si consumavano frugali minestre di fagioli o il baccalà; per le famiglie più abbienti, a Udine, era di prammatica la minestra di lenticchie, ma anche lasagne o spaghetti conditi con olio, cipolla e sardelle salate. Tra i cibi tradizionali di questi giorni di magro, Ostermann elenca: «zuppa di rane, risotto con molluschi o pesce, specialmente con l’anguilla, panata con l’olio e il finocchio».
Nel pomeriggio del giovedì si usava portare offerte ai sepolcri (i cosiddetti “giardini di Adone”), che ogni chiesa procurava di allestire con pompa straordinaria. Era pratica comune nascondere dietro le palme e le frasche gabbie con canarini, capinere, usignoli e altri uccelletti cantori, per destar maggior senso di malinconia nel fedele. Altra pratica comune era assistere alle rappresentazioni sacre del dramma liturgico del Calvario, inscenare “stazioni” e “quadri viventi” della processione del venerdì santo.
La solennità del sabato era caratterizzata dal rito del fuoco che spesso veniva portato nelle case prendendolo direttamente dal sagrato della chiesta dove, in un piccolo falò, si bruciavano le cose sacre da eliminare, unico modo per distruggerle. Assieme al fuoco la chiesa rinnovava il fonte battesimale. Il sabato o durante la messa di Pasqua erano benedetti i cibi rituali che, più spesso, erano segnati dal sacerdote quando girava a benedire le case e, nelle Valli del Natisone, rinnovava anche il segno sulle porte. Un’altra regola alimentare era che, mantenuto il digiuno, il primo cibo consumato la domenica santa fosse benedetto.