Friuli: Magris vince il FriulAdria e parla di Storia come Inferno

di ERMES DORIGO.
Non tutti sanno che l’esordio letterario di Claudio Magris avvenne con “Illazioni su una sciabola” (Gli Anelli – Cariplo, Laterza, 1984, illustrazioni di Gabriele Mucchi), ambientato in Carnia durante il periodo di occupazione militare della stessa. L’autore ci offriva la sua prima opera narrativa, un racconto in cui storia e immaginazione si fondono e in cui viene narrata la piccola grande storia di un uomo, il generale bianco Peter Krasnow, l’Atamàn dei cosacchi del Don, che si era battuto contro i bolscevichi nel 1918 e che in esilio e ormai in età avanzata era stato messo dai nazisti alla testa di un’armata cosacca in Camia nel 1944. Questa avventura si concluse col suicidio collettivo dei cosacchi nella Drava, nella quale molti di loro si gettarono nel momento in cui gli inglesi, ai quali l’Atamàn si era rivolto, confidando in loro poco prima della fine del conflitto nel 1945, stavano per consegnarli proditoriamente ai sovietici. Il racconto consiste di una lunghissima lettera, cui don Guido affida i propri ricordi di quegli avvenimenti. La scelta del genere epistolare è rivelatrice di una duplice volontà: privilegiare il dialogo con l’interlocutore (la comunicazione col lettore) e collocare la riflessione nel punto di convergenza tra soggettività e oggetto, tra realtà e percezione di essa, evitando di restaurare una aprioristica ragione ordinatrice della realtà, ma optando per una razionalità che si insegue e si fa nell’opacità del reale. Infatti, proprio la relazione (che dovrebbe essere una esposizione sommamente oggettiva dei fatti), cui il manzoniano don Guido si rifà, per dare fondamento di certezza al suo senile rammemorare, si sfalda tra le mani e non rimangono che frammenti d’una realtà continuamente sfuggente e di una storia che credeva razionalmente posseduta e che invece permette di procedere in essa solamente per illazioni; cosí gli altri strumenti come i libri di storie, coi quali l’uomo presume di ridurre a unità il molteplice, hanno la stessa consistenza larvale delle testimonianze orali dirette, «inutili a capire il senso della vita umana». La storia s’innesca a distanza di 12 anni dalla fine del conflitto, quando vengono riesumati nel cimitero di Villa Santina i resti di uno sconosciuto, che si ritiene siano di Krasnow; viene alla luce anche una sciabola di cui peraltro rimane solo l’elsa (emblema di gloria senza oltraggio) che si crede sia appartenuta all’ufficiale cosacco. A partire da questo momento Don Guido si smarrisce in un dedalo di illazioni fatte sulla morte di Krasnow e resta colpito dall’ambiguità di ogni evento che fa procedere, indietreggiare e oscillare la sua ricerca.La narrazione si regge su uno schema a Y in quanto il rapporto tra i due protagonisti, inizialmente di opposizione, alla fine si rivela di complementarità. L’opposizione dialettica è tra un io narrante (don Guido) e un io narrato (Krasnow), «una creatura di carta, ma non perciò meno dolente», dotato della inconsistente consistenza, che investirà progressivamente il narrante e colpito da una disconferma totale, al punto che persino la sua morte non è un dato certo e oggettivo. Bisogna aver ben presente che a Magris interessa soprattutto il Krasnow scrittore/personaggio mitteleuropeo, piú che il generale cosacco e la sua storia; lo scrittore con le parole inventa l’immagine di un tempo/spazio ideale (Russia imperiale/Monarchia absburgica) e si costruisce come soggetto che «vive un destino coatto e cartaceo» e ripete nella storia «un copione, le parole e la parte di un suo personaggio». L’impianto narrativo, quindi, non è rigido e schematico: l’intrecciarsi delle riflessioni sul destino umano con testimonianze sempre diverse su fatti e personaggi, anziché portare a un accrescimento di conoscenza sugli stessi, si frange come in un gioco di specchi che moltiplicano senza fine prospettive e incertezze, sicché Krasnow diventa quel tipico personaggio «lontano da dove» di ascendenza rothiana, un «prisma trasparente, uno specchio degli altri e del mondo, in continuo movimento, sí da offrire un’immagine sfaccettata perennemente cangiante delle cose».