Friuli: Morâr, c’era una volta il gelso nelle fotografie di Quaiattini

di Mario Turello

È attestato dal Trecento almeno il toponimo Moraro, e morâr in friulano è assurto a sinonimo di albero in generale. Basterebbero le considerazioni linguistiche ad attestare l’importanza che il gelso, o moro, il morâr appunto, ha avuto nella storia agricola ed economica del Friuli. O le ricorrenze letterarie: in Zorutti, nella Percoto, in Pasolini, in Bartolini. Dal Settecento, col progredire dell’industria serica, la gelsicoltura in funzione della bachicoltura colonizzò gran parte delle campagne, e i filari di gelsi furono elemento onnipresente e caratterizzante del nostro paesaggio agrario fino a metà del Novecento, allorché il riordino fondiario ne ridusse la presenza a pochi e dispersi, e quando anche su di essi si depositarono gli insetticidi irrorati sui frutteti, fu la fine dei bachi. A salvarne la memoria almeno s’impegnò una trentina d’anni fa il fotografo Albano Quaiattini, scomparso lo scorso anno. Oltre cento delle sue fotografie, raccolte in due sezioni riguardanti rispettivamente il gelso e il baco, sono state ora pubblicate nel bel volume (Albano Quaiattini, Il gelso e il baco da seta, 167 pagine, s.i.p.) edito dall’Ecomuseo delle Acque di Gemona a cura del presidente Maurizio Tondolo: un omaggio a Quaiattini, e un’assunzione d’impegno da parte dell’Ecomuseo che da anni si propone la valorizzazione del territorio come bene culturale, oggetto non solo di conservazione ma anche di riqualificazione attraverso processi di recupero e sperimentazione interdisciplinare. E interdisciplinare è il volume stesso: alla documentazione per immagini si affiancano i saggi di Gianfranco Scialino, Enos Costantini, Michele Zanetti, Franca Battigelli, Mario Salvalaggio, Alberto Guerra, Aldo Colonnello e Gianfrancesco Gubiani in un mosaico di autorevoli competenze, dalla geografia alla storia economica alla dendrologia eccetera