Friuli: per il wwf e aiab le aflatossine sono conseguenze dell’agricoltura intesiva

La recente scoperta della messa in commercio di latte con sostanze tossiche e cancerogene, ed in particolare contaminato oltre i limiti da aflatossine, riporta alla ribalta da un lato il problema delle contaminazioni dei prodotti alimentari, dall’altro quello della diffusa pratica della monocoltura di mais su buona parte del territorio regionale e non solo.

“Gli attacchi alle piante da parte di varie muffe cancerogene, che poi vengono metabolizzate dalle vacche alimentate con il cereale contaminato – affermano WWF e AIAB Fvg in una nota congiunta. – , sono infatti la conseguenza di pratiche che le associazioni ambientaliste e di produzione di alimenti biologici contestano da decenni, ed il caso evidenziato dai NAS non ci stupisce”.

“L’agricoltura – sottolineano le associazioni – deve essere riportata alla sua principale funzione, quella di produrre alimenti sani, e non deve semplicemente rispondere a logiche commerciali di corto periodo  (agricoltura di rapina) per le quali si coltiva la stessa specie per decenni sulla stessa superficie, favorendo l’insediamento di specie fungine, utilizzando concimi e varietà idonee ad accrescere la quantità, ma a scapito della qualità (con conseguenze gravissime, come vediamo oggi)”.

Secondo WWF e AIAB le misure di contenimento delle fitopatologie devono riguardare l’intera filiera produttiva, dalla coltivazione alla raccolta, dal trasporto allo stoccaggio, con misure agronomiche e di gestione delle derrate. Va valutata attentamente anche l’opportunità di coltivazione del mais, specie notoriamente molto sensibile in fatto di esigenze idriche e termiche.

Tra le misure agronomiche che dovrebbero essere adottate vi sono la rotazione delle colture (precessioni colturali e gestione dei residui della coltura precedente) e la diversificazione delle specie coltivate; la riduzione della concimazione azotata (+ azoto=più massa verde e + acqua= maggiore possibilità insediamento fungino); la gestione della fertilità microbiologica dei suoli attraverso l’uso di concimi organici (letame) che degradino tutti i residui; l’anticipo della semina ove possibile; la scelta varietale (anche in funzione della lunghezza del tempo di crescita oltre che per la resistenza ad avversità biotiche); la determinazione corretta dell’epoca di raccolta (anche con cultivar a ciclo più breve); l’aumento delle produzione foraggere a scapito dei cereali.

Oltre alla gestione del cantiere di raccolta, devono poi essere adottate idonee misure sulla gestione delle derrate, in particolare la raccolta tempestiva (le varietà moderne hanno la pannocchia eretta e le foglie che si aprono sulla punta. Di conseguenza se stanno un mese sotto la pioggia di ottobre/novembre prima di essere raccolte entra acqua e conseguentemente gli attacchi fungini sono più probabili); lo stoccaggio dei cereali al grado di umidità ottimale e l’umidità deve essere limitata anche con l’arieggiamento e la movimentazione; la modernizzazione dei macchinari di raccolta o stoccaggio, mediante l’impiego di sistemi di prepulitura, spazzolatura e selezione (in particolare ottica) di chicchi visibilmente infetti e pannocchie che con la vecchia raccolta a mano venivano scartate.

Di qui la richiesta delle associazioni alle istituzioni affinché introducano norme più stringenti per favorire le rotazioni, che favoriscano e incentivino forme di imprenditoria agricola centrate sulla multifunzionalità (intesa come diversificazione delle funzioni svolte dall’imprenditore agricolo (produttiva, ambientale, paesaggistica, ricreativa, educativa, culturale, ecc.) e soprattutto non cedano alle richieste di innalzamento dei limiti di contaminazione, come richiesto dai grandi proprietari terrieri.

“Il latte contaminato da aflatossine – concludono AIAB e WWF – è l’ennesimo l’ennesimo regalo della monocoltura e della semplificazione colturale e gli Ogm vanno in questa stessa direzione.

L’auspicio è che la gravità di quanto avvenuto serva per invertire la marcia. E serva anche come monito per coloro che attribuiscono alla filiera a km0 una garanzia intrinseca di qualità, quando evidentemente le schifezze si fanno anche nel cortile di casa”.