Friuli: rituali, cibi e tradizioni dei giorni dei morti

di CRISTINA BURCHERI

 
Storicamente fu Odilone, quinto abate di Cluny, nel 998, a istituire in tutti i conventi cluniacensi l’ufficio dei defunti a partire dal vespro del primo di novembre, mentre il giorno seguente, il 2 novembre, i sacerdoti avrebbero offerto al Signore l’Eucarestia «pro requie omnium defunctorum». Il rito si estese successivamente a tutta la Chiesa occidentale, costituendo, per quella data, il Giorno dei morti. Odilone di Cluny, morto la notte di Capodanno del 1049, fu proclamato Santo e la sua festa ricorre il 1º gennaio. <br />
Valentino Ostermann dalle pagina de “La vita in Friuli” ci informa che, al suo tempo (fine nell’Ottocento), era credenza estremamente popolare e diffusa in tutte le classi sociali ritenere che «nella notte dal 1º al 2 novembre i morti tornino a visitare le loro case». Ostermann riteneva che le processioni dei morti non erano reliquie di cerimonie celtiche o slave, ma patrimonio «comune a tutte le genti arie, e forse a tutte le razze umane».
Dalle pagine de “La vita in Friuli” ci giunge una puntuale testimonianza: «I contadini tengono perciò durante tutta la notte un lume acceso sulla tavola della cucina, i secchi ripieni d’acqua e un po’ di pane sul desco, perché in quella notte i morti sentono il bisogno di mangiare, di bere, di riscaldarsi». Ostermann prosegue: «In quella notte funerea, i morti che non sono nell’inferno escono processionalmente dal cimitero, e l’ultimo seppellito porta un fanale. In punto a mezzanotte ognuno rientra nella propria casa, e quelli che sono nel purgatorio possono bagnarsi le arse labbra e trovare un po’ di ristoro alle loro sofferenze».
Nel folclore friulano si crede anche che i morti «vadano in pellegrinaggio a certi santuari, a certe chiese lontane dall’abitato e, chi vi entrasse in quella notte – avverte Ostermann –, le vedrebbe affollate da una moltitudine di gente che non vive più e che scomparirà al canto del gallo o al levar della bella stella». Una pia credenza riguarda Gemona. Si credeva che, chi, da vivo, non avesse mai visitato la chiesetta di San Simeone abbarbicata sull’omonimo monte, sarebbe stato obbligato a farlo da morto. Diverse testimonianze ottocentesche affermano di «aver veduto degli scheletri salir i difficili sentieri, rischiarandosi il cammino con un lumicino o un moccolo di cera attaccato alla falange dell’indice della mano destra».
Tra i cibi rituali di questi giorni, nelle Valli del Natisone, si donavano in preferenza pagnottelle anche se, a San Leonardo, era tradizione dare la pannocchia. Nel Medio e nel Basso Friuli lo scenario rituale non cambia. A Precenicco le offerte di grano erano deposte in cesti lasciati all’ingresso della chiesa. A Latisana oltre il pane di farine miste si distribuivano minestre ai poveri. A San Giorgio di Nogaro si metteva davanti all’uscio di casa un sacco di pannocchie e i più bisognosi ne raccoglievano una da ogni sacco. A Marano due vecchi giravano tutta notte con un lume, pregando.