Friuli: Zamò e Candolini riscrivono le vie ferrate del Friuli

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di Melania Lunazzi.

Sono piú impegnative di una semplice camminata, perché si usano le braccia, e si svolgono tra pareti di roccia senza essere vere arrampicate. Alcune sono frequentatissime. Sono le vie ferrate, i percorsi artificiali che tracciati con cavi, pioli e scalette lungo cenge, rampe e spigoli, su placche e paretine aeree delle montagne. La prima fu inaugurata dagli austriaci nel 1860 sul Grossglockner. Julius Kugy non le riteneva necessarie e biasimò il Cai di Villaco per aver attrezzato in parte il suo capolavoro sulla parete Nord del Montasio (la Diretta Kugy), ma durante la guerra divennero spesso una necessità. Il vero boom cominciò con l’espandersi del turismo alpino e ancora oggi la realizzazione di nuovi itinerari divide i puristi dagli amanti della montagna addomesticata e del divertimento in sicurezza. Nella nostra regione ce ne sono oltre cinquanta, dalle Dolomiti Friulane alle Alpi Giulie e ora in libreria una nuova guida le raccoglie e descrive con criteri nuovi e piú oggettivi del passato. Si tratta di “Vie Ferrate in Friuli. Settore Occidentale” delle edizioni InMont, primo di due volumi. Gli autori, entrambi friulani, sono l’alpinista appassionato Giampietro Zamò e Guido Candolini, fratello di Massimo, l’editore, entrambi guide alpine. «Ci siamo accorti – dice Candolini – che mancava un libro che censisse le nostre ferrate con un metodo di facile lettura e comprensione. E che mancava un metodo di valutazione preciso e ufficiale. Ogni libro sulle ferrate rispecchiava la visione soggettiva dell’autore. La novità di questo lavoro sono infatti i criteri di valutazione. Li abbiamo completamente ridisegnati». Spesso le ferrate vengono prese sottogamba e percorse con attrezzatura inadeguata – alzi la mano chi non ne ha mai fatta almeno una senza il kit omologato – e «molti, anche gli esperti, pensano di esserne all’altezza e di poterle percorrere in scioltezza, senza sapere che ogni anno accadono numerosi incidenti, spesso mortali, per una errata valutazione». Il volume ha il formato di un tascabile, ma è confezionato con una copertina rigida che è un peccato rovinare nella tasca dello zaino. Ventidue gli itinerari presentati, dal Piancavallo al Passo di Monte Croce Carnico. Ogni ferrata è illustrata con schizzi, fotografie e una relazione molto dettagliata, per la prima volta descritta passo a passo. Ma la vera novità sono i tre criteri di valutazione della difficoltà, che prendono in esame l’intero itinerario e non solo il tratto con gli ausili, assieme ai fattori che possono condizionare l’approccio mentale al percorso. Ecco il primo criterio: «Nella nostra visione la ferrata non è solo il pezzo attrezzato bensí tutto il giro, dall’avvicinamento a piedi, su strade forestali, sentieri normali o impegnativi, con difficoltà o lunghezze diverse». Il secondo riguarda la difficoltà tecnica della scalata ovvero «l’atleticità, quindi quanti appigli e appoggi ci sono, quali attrezzature e scalini, se devi appoggiare i piedi in aderenza su una placca; in certi itinerari, se non hai il giusto movimento, dopo il quarto scalino sei già cotto». E, infine, c’è una difficoltà ambientale che condiziona tutta la gita. Con questa si intende «la complessità del percorso: quanto logica è la salita, se è facile individuarla o se è lontana dai rifugi e dalla strada e la continuità dell’impegno richiesto con particolare attenzione all’esposizione». È indubbio che questi tre gradi di valutazione possano dare la giusta misura di ciò che si va ad affrontare: per questo gli autori non fanno piú differenza tra sentiero attrezzato e ferrata e anche il sentiero Spinotti e il Corbellini, considerati alla portata di tutti, vanno guardati con occhi nuovi. Il volume sarà presentato a Udine il 20 novembre in sala Valduga alla Camera di Commercio di Udine, a cura della Società alpina friulana.