Gemona: compagnia condannata per mancato “consenso telefonico”


di Giovanni Cinque

Vodafone risarcirà 1.500 euro a un gemonese privato dell’utenza fissa in forza di un consenso telefonico alla “portabilità” solo presunto. Un gemonese, alla fine del settembre ’08, sente squillare il cellulare ed entra in contatto con un operatore della Vodafone Omnitel che gli prospetta la possibilità di interrompere il rapporto ”domestico” con la Telecom e gli offre la cosiddetta “portabilità” dell’utenza fissa; pur senza aver prestato il consenso a tale operazione l’uomo si ritrova cliente del nuovo gestore e, nel prosieguo, privato della possibilità di utilizzare il telefono di casa, sopportando notevoli disagi  sia con riguardo all’attività lavorativa che alla possibilità di assistere convenientemente la madre invalida al 100%. Si rivolge, allora, al giudice di pace di Gemona, avvocato Vincenzo Zappalà, che accogliendo l’istanza di risarcimento del danno, avanzata dall’avvocato Vitto Claut, di Pordenone, condanna, per un verso, l’azienda telefonica al pagamento di 1.500 euro, aumentati degli interessi di legge e della rivalutazione monetaria, e impone, dall’altro, la rifusione delle spese legali, nella misura complessiva di 1.126 euro, più Iva e contributo previdenziale forense. La fattispecie rientra, peraltro, nella casistica di settore, originata da una legge contestata che consente di stipulare contratti, acquisendo (o affermando, come nel caso in oggetto, di aver acquisito) l’assenso della controparte con una semplice telefonata. La portabilità dell’utenza non era stata, infatti, accettata dall’interessato, che aveva solo consentito a ricevere, presso il domicilio, i moduli riportanti le condizioni contrattuali. Il 13 ottobre successivo, gli veniva, però, consegnato un plico contenente la comunicazione di benvenuto nel mondo “Vodafone Casa”, corredata dai documenti richiesti. Nella stessa nota si sottolineava poi, come, nel corso del colloquio telefonico, fosse stato registrato il suo consenso alla portabilità del numero e lo si sollecitava a compilare la modulistica, da restituire nei 15 giorni successivi alla Vodafone. L’uomo non dava riscontro, tuttavia, alla comunicazione e non attivava, inoltre, la Sim che gli avrebbe consentito di utilizzare un numero fisso provvisorio. La Vodafone procedeva, comunque, all’attivazione e chiedeva alla Telecom la cessazione del contratto in essere, causandogli gravi disagi, puntualmente elencati nell’atto di citazione finalizzato al risarcimento del danno. L’avvocato Zappalà osserva, tra l’altro, in motivazione, come «sia indubbia la lesione di diritti costituzionalmente garantiti, quali la libertà di comunicare con gli altri e il diritto alla salute (nel caso di specie la compromissione della possibilità di interventi tempestivi, a tutela della salute della madre invalida)». Il giudicante ha ritenuto, di conseguenza, sufficientemente comprovato il disagio complessivo sofferto per l’illecito e arbitrario distacco dell’utenza telefonica fissa, «attraverso una serie concatenata di fatti noti che consentono di risalire, anche in via presuntiva, alla quantificazione del danno».<br />