Paularo: la sala Pineta, quel dancing degli anni belli

di Dino Menean

Il dancing Pineta è una sala da ballo ormai desueta a Saletti di Paularo. E come tutte le cose desuete ha in sé oltre al normale logorio causato dal tempo, un’aura di nostalgica malinconia. Non era cosí ai tempi del suo splendore. Allora si riempiva all’inverosimile nelle feste di Natale, Capodanno, Ferragosto. Si era cosí in tanti stretti e pigiati, che davvero per i ballerini risultava un impresa ardua muoversi e danzare. Quante coppie si sono avvicendate, perdute, ritrovate. Quanti amori sbocciati, vissuti e poi… finiti. Nell’arco della sua lunga attività si sono esibiti nella sua sala diversi gruppi e orchestrine. Ci hanno suonato i magnifici “Lunatici” e gli ancor piú magnifici “Alpen-Echo”. Ma io e i miei amici la preferivamo quelle domeniche estive prima e dopo le partite di calcio. La grande sala era semivuota il juke-box troneggiava nel centro. La musica si spandeva, si riversava nell’aria, giungeva fin su al paese. I piú audaci di noi si lanciavano in sfrenati “shake”. I fortunati si perdevano fluttando nel dolce ballo del mattone. Il dancing Pineta era se non il centro e il motore, sicuramente parte integrante della vita ludica di Paularo: “Ci vediamo in Pineta”. “Facciamo quattro salti in Pineta”. Ci sono passato alcuni giorni fa e un botto al cuore mi ha trattenuto. Bloccato. Vedendo il locale grigio e deserto. L’area del parcheggio invasa da erbe e cardi. E mentre me ne stavo cosí deluso e amareggiato, combattuto tra la rabbia e la tristezza mi sono visto come d’incanto giungere con il mio “600” parcheggiare, scendere con gli amici, entrare alla spicciolata. La grande sala rumoreggiava, le luci soffuse, la musica echeggiava. E lassú in un angolo confusa quella ragazzina (chissà dove sarà?) che mi aveva rubato il cuore. Quanto sono rimasto cosí in silenzio, sospeso tra sogno e realtà. Un attimo, un’eternità. Non so. Andando, perché bisogna sempre e comunque andare, ho abbracciato ancora una volta con lo sguardo il dancing Pineta. Quel che ne rimane. Un magnifico ricordo che mi piace condividere con Attilio, batterista dei “Lunatici”.