Paularo: l’Albergo Impero quanti ricordi

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di Dino Menean Paularo.

Non si può non vederlo. Ignorarlo. È un edificio massiccio che si leva davanti alla fermata delle corriere, sul crocevia delle strade principali. Nei paraggi sorge la chiesa con accanto la scuola materna. Poco distante il municipio. Insomma nel centro di Paularo si erge l’albergo Impero. Mi ricordo il proprietario originario. Pizzo alla francese, prince-nez. Alto, compassato, voce stentorea. Sembrava uscito anche lui come il suo albergo direttamente dall’Impero coloniale. Era un uomo di una gentilezza squisita. Si muoveva con grazia fra i tavolini. «Tutto a posto signori?!» mi sembra ancora di udirlo. Era poco più che un ragazzo. L’albergo allora, constava di un’ampia sala e di un bancone enorme dove bottiglie e bicchieri ben allineati facevano bella mostra di sé. Una sala più piccola adiacente conteneva un biliardo e una tavola di marmo con schacchiere, dame e scacchi e carte per giocatori appassionati e assidui. Al piano superiore le camere per i turisti, davano sul torrente Chiarsò. Un’altra sala si apriva per ricevere le riunioni di club e partiti. E giù nel seminterrato un vasto spazio era riservato per il ballo, veglia verde e alpini. In una nicchia nascosta una targa ricordava il passaggio e il pernottamento del poeta Giosué Carducci, durante il suo “excursus” per i paesi della Carnia. L’albergo Impero era il fiore all’occhiello di Paularo. Quando è iniziata la sua decadenza non lo so. Mentre crescevo ho visto avvicendarsi diversi proprietari. E l’albergo, pur conservando la sua figura, in qualche modo perdeva smalto e fulgore. Poi un giorno l’ho visto chiuso: finestre sprangate, cancello sbarrato. E poi un altro giorno un enorme cartello con su scritto “Vendesi”. E poi è iniziato il dissesto; e ora giace abbandonato. Muri scrostati, vetri infranti. La lettera I di Impero penzolante nel vuoto. Seduto nella corriera che mi portava a Tolmezzo ho osservato l’albergo Impero. Riflesso sul finestrino assieme al mio volto invecchiato. E nell’ordine delle cose pensavo brillare – spegnersi, vivere – morire. È nell’ordine delle cose decadere, passare, finire. E mentre la corriera correva portandomi via un sorriso e una lacrima mi sorgevano dentro. Ecco, pensavo, ancora una volta il dolce e l’amaro mischiati. La gioia e la tristezza intrecciati nel mistero insondabile dell’esistenza.