Prato Carnico: al rifugio De Gasperi un altro modo di vivere la montagna

di Alessandro Cesare.

Spirito di sacrificio, passione, tenacia. Sono le componenti che hanno consentito a Nilo Pravisano di resistere per ben 36 anni come gestore del rifugio “Fratelli De Gasperi”, in Val Pesarina. Anche ieri Pravisano si trovava nei pressi del rifugio, impegnato a scaricare viveri dalla teleferica. In questi decenni ne ha viste tante, ha dovuto combattere contro la burocrazia e il maltempo, e oggi è impegnato a tenere testa all’evoluzione del modo di andare in montagna. «La nostra struttura è raggiungibile solo a piedi dopo una camminata di un’ora e mezza. Il primo problema che dobbiamo affrontare è la trasformazione delle esigenze di chi frequenta i rifugi, che da strutture spartane e di appoggio vengono sempre di più viste come alberghi o ristoranti ad alta quota. Purtroppo la logistica di molti rifugi impedisce di soddisfare simili richieste in termini di servizi». Pravisano lo dice con un po’ di rammarico, soprattutto perché, negli ultimi tempi, pare stia venendo meno lo spirito romantico dell’approccio alle “terre alte”: «Si sta perdendo il significato primo dei rifugi, che era quello di socializzare e condividere gli spazi. Oggi ci vengono chieste stanze singole con servizio in camera, quando fino a vent’anni fa i gruppi che pernottavano non avevano alcun problema a dormire “in compagnia”, adattandosi alle esigenze di chi il rifugio lo frequenta come luogo per preparare un’arrampicata». Il rifugio “Fratelli De Gasperi” si trova alle pendici della verticale costiera rocciosa delle Dolomiti Pesarine. Dispone di più di 100 posti letto e rimane aperto da giugno a ottobre inoltrato. «Non ho acqua corrente e non c’è un furgoncino che mi rifornisce di viveri – racconta Pravisano –. Se voglio restare aperto lo posso fare con spirito di servizio e senza garanzie di remunerazione. I mesi “commerciabili” per me sono quelli estivi, il resto non è altro che un regalo che faccio agli appassionati della montagna occupandomi della cura del territorio. Questo perché le forze disponibili (le comunità locali, il Cai), a causa dei cambiamenti climatici che hanno aumentato le emergenze ambientali, non riescono più a garantire la percorribilità di tutti i sentieri. Sono, quindi, costretto a intervenire con le mie forze e a mie spese per rendere raggiungibile il rifugio nei mesi autunnali o invernali». Non tutti i frequentatori della montagna, però, sono diventati escursionisti “mordi e fuggi”. Esistono ancora molti appassionati che amano vivere l’alta quota senza fretta: «C’è ancora chi viene per il piacere di stare in compagnia», assicura Pravisano. A rendere ancora più complicate le cose, oltre alla crisi che ha colpito anche le frequentazioni dei rifugi, ci si mette la burocrazia. «È difficile che il legislatore comprenda la peculiarità del nostro lavoro, poiché le regole pensate per le strutture alberghiere non possono valere anche per noi. In un rifugio non si può imporre che la porta d’ingresso si apra verso l’esterno: con una copiosa nevicata, in questo modo, rischio di restare intrappolato. Va trovato un equilibrio». A incidere sull’attività del rifugio c’è il nuovo modo di concepire l’alpinismo: «Non c’è più il senso del limite, c’è fretta anche nell’arrampicare – conclude – e il rifugio non è più determinante come punto di appoggio».