Ravascletto: il carnico Antonio e gli amici-nemici d’Austria

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(l.s. dal MV di oggi)

Un secolo fa – novantanove anni, per l’esattezza – in Carnia i maschi validi furono strappati alle loro occupazioni e irreggimentati nel grigioverde. Alcuni tornavano dall’emigrazione in Germania, altri erano pendolari di valle, nelle segherie carinziane della Gailtal. Si spiegò loro che quelli oltre lo spartiacque, fedeli alleati sino al giorno prima, erano i nemici. Ai quali si doveva sparare, pena la fucilazione da parte degli amici. La devastazione morale e sociale della guerra toccò qui – come in tutte le zone di sovrapposizione etnico-linguistica – il suo terribile acme. L’agiografia nazionale provvide poi ad aureolarlo di gloria, ma le ferite arrecate dall'”inutile strage” dolgono ancora, cosí come quelle che ne discesero nei successivi decenni. Di questo parla “Gorizia è nostra”, straordinario libriccino di Sergio De Infanti, scoperto dal circolo “Menocchio”, e ristampato oggi dalle edizioni Olmis. È la storia di Antonio, un giovane capofamiglia di Ravascletto, che viene mandato a combattere sulle sue montagne e ha la fortuna di essere fatto prigioniero e portato in Austria, mentre il suo paese marcia attraverso le alterne vicende della Grande guerra. Si aggrappa a un amore passaggero, e così sarà anche per Marianna, la moglie, che al ritorno gli farà anche trovare una figlia in più. Il conflitto scandisce il ritmo come un metronomo, e le avventure di Antonio (niente movenze da eroe o antieroe, solo una voglia dura di stabilità e normalità) contrappuntano le scene di un paese che resiste impavidamente, mentre sullo sfondo fiammeggia lo scontro tra gli Imperi, un evento cosmico tanto grande da risultare incomprensibile per i locali, per cui è già difficile l’esercizio di “costruzione” del nemico. Quattro anni di patimenti, di unioni e famiglie scomposte e ricomposte, quattro anni perduti, eppure vissuti. Il titolo segna genialmente la conclusione del piccolo “nostòs” paesano: quando Antonio approda alla sua casa, trova schierati i familiari, che attendono da lui una parola che possa dare senso a ciò che è stato. Incapace di restituire in maniera positiva o almeno coerente il lungo distacco e l’insensato orrore della guerra, Antonio si rifugia nello slogan. E saluta i suoi con il luogo comune più vieto della propaganda guerrafondaia. Con una narrazione svelta e suasiva, uno stile diretto e naïf, De Infanti si fa biografo, più che di un personaggio, di una tipologia precisa, quella carnica, calata in un’ora decisiva. La tranche de vie che narra è la sedimentazione di esistenze tramandate dall’oralità, e dunque storia vera, molto più di quella dei testi che enumerano generali, battaglie e trattati. 

Una risposta a “Ravascletto: il carnico Antonio e gli amici-nemici d’Austria”

  1. La grande guerra fu una vera e propria strage di giovani e padri di famiglia. Patimenti vessazioni fame una non vita per chi era al fronte. Io andavo in vacanza a Piano d’Arta ed i padroni della casa che affittavo e che ormai non ci sono più, raccontavano di aver lavorato in Carinzia in una delle tante segherie, prima dello scoppio della guerra. Hanno dovuto rientrare in Italia precipitosamente e con molto dispiacere, in quanto consideravano amici gli austriaci con i quali lavoravano. Ci hanno imbottito a scuola di false verità sull’amor di patria che animavano i soldati: cavolate megagalattiche.

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