Sviluppo turistico delle aree montane tra passato presente e futuro, di Simone Papuzzi

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di Simone Papuzzi (Presidente Commissione Regionale CAI-TAM Veneto).

Sviluppo turistico delle aree montane tra passato presente e futuro «La crisi è quando il vecchio muore e il nuovo non può nascere» Questa frase di Antonio Gramsci più attuale che mai vuol far riflettere sul fatto che in tempi di crisi come questi è necessario ricercare qualcosa di profondamente diverso, in grado di dare nuovo impulso e nuove prospettive al turismo e quindi all’economia di montagna. I territori montani stanno infatti vivendo un periodo di grossi cambiamenti legati da un lato ai nuovi stili di vita e alle nuove opportunità di lavoro e da un altro ai disagi socio-economici che questo porta con se. Dopo la lunga fase di emigrazione verso le zone più industrializzate di pianura che ha visto il progressivo spopolamento delle montagne si è assistito ad una sensibile inversione di tendenza grazie al miglioramento dello stile di vita locale dovuto al boom turistico legato in particolare alla pratica dello sci alpino. In talune zone come per esempio Valle d’Aosta e Dolomiti si è assistito ad uno dei maggiori sviluppi nel settore degli impianti a fune che ha fatto dimenticare per alcune decine di anni i disagi, la povertà e la crisi occupazionale tipica delle terre alte. Purtroppo il turismo di montagna è ancora incentrato sulla monocultura dello sci alpino. Tuttavia in tempi recenti, sia per l’eccessivo sfruttamento del territorio dovuto al sempre crescente numero di impianti di risalita e conseguentemente alla speculazione edilizia, sia per la congiuntura economica non favorevole al progredire di questa costosa pratica sportiva, sia per la riduzione di domanda legata all’invecchiamento e alla diminuzione del popolo degli sciatori, la situazione è notevolmente cambiata ed il settore appare se non in crisi in stagnazione. I cambiamenti climatici poi stanno influenzando molto le scelte da intraprendere per gli sviluppi del turismo nei prossimi anni; si dovranno adottare pertanto nuove strategie di adattamento nel turismo alpino. Partiamo analizzando i dati forniti dagli studi e dalle ricerche condotte dalla CIPRA: i modelli climatici regionali predicono, per le Alpi, un aumento di 2°C della temperatura media annua nei prossimi 30 anni e questo porterà di conseguenza ad avere inverni meno rigidi e con precipitazioni più piovose che nevose. Il numero dei giorni adatti allo sci con più di 30 cm di neve è destinato a diminuire notevolmente e la certezza dell’innevamento naturale sarà garantita solamente dal 61 % dei comprensori (la stagione attuale ne è un emblematico esempio). Sempre dagli studi condotti da molti ricercatori e dalla stessa CIPRA risulta che le stazioni sciistiche sotto i 1500 m s.l.m. non avranno più la garanzia di innevamento naturale già dai prossimi anni se non da questo. Un eventuale mantenimento degli impianti sciistici e dell’innevamento programmato è ammesso, ma soltanto ove questo sia sostenibile economicamente e consenta, con investimenti ragionevolmente contenuti, di attenuare/risolvere le principali crisi di innevamento. Questa situazione potrebbe realizzarsi soltanto oltre i 1800÷2000 m circa, mentre a quote inferiori l’aumento delle temperature potrebbe spesso compromettere la funzionalità degli impianti anche in pieno inverno (conferenza sul clima Roma 2007). La strategia di mitigazione al problema non potrà comunque essere l’innevamento artificiale. Il consumo d’acqua per l’innevamento è immenso e non è affatto certo che la quantità d’acqua disponibile sia sufficiente a coprire il fabbisogno anche perché in futuro potrebbe esserci troppa acqua d’inverno ma troppo poca d’estate. Tali cambiamenti avranno quindi delle ripercussioni sull’agricoltura e sulla selvicoltura, ma anche sull’economia dell’acqua. Lo sviluppo sciistico porta poi come conseguenza, anche voluta, ad una speculazione edilizia non sostenibile. Pensiamo alle strutture di accoglienza attuali: di alberghi e di seconde case nelle valli alpine ce ne sono in abbondanza, molte strutture aspettano solo di essere occupate dai turisti ma oggi però sono in sofferenza e le seconde case appaiono per la gran parte dell’anno vuote, dando alla località la sembianza di “non luoghi”. In molte località di villeggiatura esistono ormai un numero estremamente elevato di abitazioni adibite a seconde case che occupano estese porzioni di territorio con conseguente criticità legate all’aumento degli oneri finanziari derivanti dal potenziamento dei servizi idrici e fognari e non ultimo l’aumento del valore degli immobili e del terreno provocando l’espulsione della popolazione residente dal mercato locale delle abitazioni. Non servono quindi nuove strutture ricettive per giustificare l’investimento su nuovi impianti sciistici. Il problema è che il turismo invernale nelle Alpi è unilateralmente orientato allo sci, perciò dipende fortemente dalla neve. Una strategia per le aree coinvolte, oltre a sostegni finanziari, sarebbe quindi la riduzione della dipendenza dalla neve e dallo sci, integrando l’offerta turistica da un lato e puntando ad un turismo distribuito nelle quattro stagioni dall’altro. Si tratta di adottare la cosiddetta strategia multifunzionale legata alla differenziazione dell’offerta turistica. Da una parte si dovrà ampliare la gamma dei servizi offerti nel periodo invernale (turismo escursionistico, congressuale, wellness, etc) e dall’altra potenziare l’offerta turistica al di fuori dell’inverno, soprattutto turismo estivo ma anche nelle stagioni intermedie. Secondo CIPRA il turismo alpino estivo realizza un fatturato complessivo nettamente superiore di quello invernale; sulle alpi italiane la percentuale di presenze nel periodo invernale è pari al 4,1% contro il 10,8% nel periodo estivo (dato medio fra le località analizzate). La ricetta per il futuro del turismo montano dovrebbe includere almeno questi 7 punti principali:

1. Dare un alternativa sportiva alla pratica dello sci alpino: favorire lo sviluppo e la diffusione del turismo a passo lento quindi escursionismo estivo ed invernale in primis;

2. Valorizzazione del patrimonio naturale e culturale per il marketing e il turismo nello spazio alpino: puntare ovviamente di più sul turismo estivo promuovendo gli itinerari naturalistici di scoperta presso le aree protette, le oasi naturalistiche, le montagne Patrimonio Unesco e i siti di rete Natura 2000;

3. Sviluppo di una comunità locale accogliente con la creazione di un “Paese Albergo” o “Albergo Diffuso”: questo permetterebbe anche di recuperare il patrimonio residenziale esistente e/o in stato di abbandono sull’esempio del Friuli Venezia Giulia;

4. Valorizzazione dei percorsi storici: realizzazione di itinerari alla scoperta dei siti archeologici e/o dei luoghi della grande guerra.

5. Valorizzazione della filiera turistica integrata con le filiere del legno e dell’agro-alimentare, per la promozione del turismo alpino nelle stagioni intermedie (primavera, autunno): puntare sul turismo eno-gastronomico alla riscoperta dei sapori della tradizione locale sfruttando le attività agrituristiche su modello del Gallo Rosso in Alto-Adige;

6. Mobilità alternativa: puntare su un approccio più eco-sostenibile significa disporre di una serie di offerte individuali di mobilità dolce, a tutela del clima, in particolare servizi navetta, taxi per gli escursionisti e skibus gratuiti, veicoli elettrici, e-bike, auto ecocompatibili a noleggio, uso integrato del treno. Tutto questo permette di garantire una vacanza di qualità e offrire una esperienza di viaggio responsabile.

7. Vacanze benessere: per rendere più appetibile la località agli amanti del riposo e del benessere psico-fisico. La parola chiave per le località turistiche montane del futuro non dovrà più passare per turismo = monocultura dello sci, aumento del demanio sciabile, neve artificiale e nuovi collegamenti. In tempi in cui si assiste al calo del numero degli sciatori e a progressivi effetti del riscaldamento climatico, a lungo termine riusciranno a mantenersi in vita ed a mantenere la loro autonomia quelle località turistiche dell’arco alpino in grado di comprendere che natura e paesaggio sono il loro capitale più grande e perciò a sviluppare alternative da opporre al puro sci alpino.

I nuovi concetti fondamentali da seguire saranno quindi: agricoltura, turismo a passo lento, destagionalizzazione e cultura tradizionale. Ovviamente tutto questo sarà possibile soltanto se questi nuovi processi di sviluppo saranno supportati da una volontà politica quantomeno locale in grado di concretizzare i bisogni e gli input che vengono proposti loro.