Zanier: storia delle patate e dell’Albergo diffuso, vizi e virtù della Carnia che non cambia

di LEONARDO ZANIER.
Un’idea che viene da fuori. Come spesso accade. Le patate erano appena arrivate dall’America. Siamo alla fine del Seicento. Si era capito che, con poca spesa, se ne sarebbe potuti nutrire molti. S’intende contadini. Per loro erano tempi di penuria. Come tanti, prima e dopo, ma almeno le energie per lavorare campi e prati dovevano averle. Il ciclo di vita delle patate era noto e già sperimentato. Laggiù, da secoli. Prima di renderlo “pubblico”, lo avevano sperimentato anche in Europa, per un paio di stagioni. Semina entro primavera, rendita tra seme e prodotto di uno a dieci. Raccolto all’inizio dell’autunno. Conservazione non difficile. Quasi a tutte le nostre latitudini. Con messi, stendardi, trombe e tamburi, le avevano proposte ai residenti in tanti villaggi, raccontando procedure e ricette. Per chi lo voleva il seme era gratis, o quasi. Qualcosa che vien da fuori e, peggio ancora, che matura sottoterra “Pommes de terre”, “Erdäpfel” (mele da terra, la traduzione), è roba del demonio. Non trovò i contadini solo sospettosi, ma in opposizione. Le rifiutarono. E le carote, i ravanelli, le barbabietole? C’erano da prima. Da sempre. Come non detto. Allora vennero seminate nei vasti campi del Re. Appena le piante fiorirono, furono comandati soldati armati di guardia attorno ai campi. La consegna era: esserci e non esserci, vedere e non vedere, muoversi in su e in giù e, in caso di furti notturni: far finta di niente. Salvo che ti vengano proprio addosso. Ma meglio che non succeda: muoversi sempre con lampioni accesi. Se hanno messo i soldati vuol dire che è roba che vale, roba da proteggere, da difendere. I residenti, dopo attenta osservazione e molte titubanze, osarono. Capirono il comportamento dei soldati non come un invito al furto, ma come una possibilità di farla franca. Visto il successo si pensarono molto furbi. Sia lessate che in padella che al forno che fritte, le trovarono buonissime. Via via le seminarono, in proprio, dappertutto. Diventarono in poco tempo l’alimento principale. Essenziale addirittura. Ma a quel punto una bestiola, la peronospera, si mise a distruggere le piantine appena spuntate nei campi. Si ebbero raccolti scarsissimi, da fame. E fu veramente fame. Per non morire di fame molti furono costretti ad emigrare. Proprio lì da dove erano venute. Solo più a nord. Ma col tempo si imparò a contrastare la peronospera. Insomma: un successo. Circa 400 anni dopo: un’altra idea che viene da fuori. O quasi. In un paese antico bellissimo e vuoto per piu della metà, svuotato dall’emigrazione (come tanti in Carnia): usare le case o le stanze non utilizzate, dopo averle ristrutturate, fatti i servizi e arredate per affittarle ai turisti. Tra gestione, manutenzione, pulizie, ristorante significano fior di posti di lavoro per i giovani residenti. Oltre a tutto il resto che si può mettere o rimettere in moto: prodotti locali, artigianato, percorsi, parchi urbani e fluviali… E biciclette, cavalli, sci, slitte, ciaspole, parapendii… E cucina, lingue, funghi, camminate, feste, balli, concerti, spettacoli, convegni… Certo anche effetti meno desiderati: mercato immobiliare che non c’era: seconde case (letti freddi…). Come dire: interessi non totalmente divergenti. Ma è un’idea che viene da fuori. Non se ne parla. Anzi se ne sparla. Si scommette contro. Si spera che fallisca. Al momento decisivo: fare il progetto sì o no; investire sì o no (circa la metà dei costi, il resto saranno fondi elargiti dall’Unione europea); impegnarsi per dieci anni ad affittare a uso turistico sì o no; mettersi in cooperativa per gestire tutte le unità abitative sì o no: saranno d’accordo solo proprietari non residenti, emigrati, salvo uno. Ci volle del tempo. Realizzare il progetto “Albergo diffuso” è più complicato che coltivare patate. Nei primi tre-quattro anni la gestione fu addirittura in deficit. Ai proprietari che ci avevano creduto toccò ripianare i bilanci. I sorrisetti di soddisfatta commiserazione si sprecavano. Ma poi si arrivò a bilanci decenti. Addirittura si distribuirono dividendi. Certo contenuti. A cose fatte e dopo lunga riflessione, qualche altro residente aderì. Ma di più, e furono proprio incoraggiati ad aderire, residenti che non avevano case: osti, artigiani, “partite Iva”. All’inizio erano intesi come “soci sostenitori”. Ma poi, via via: stessa quota, stessi diritti, nessun rischio rispetto al bilancio. Regole introdotte gradualmente con astuzia e con prudenza. Come se ci fossero stati nei campi i soldati… Le reazioni di contenimento da parte dei proprietari, a ragion veduta, furono più palliative che sostanziali. Così i residenti non proprietari arrivarono ad avere la maggioranza. A quel punto furono convinti e guidati a prendere in mano le cose. Cacciando dalla gestione i proprietari-promotori. Tutto sommato: un successo. Questa è la favola, nel senso di storia, recente dell’Albergo diffuso di Comeglians. L’operazione di arrembaggio fu guidata dal primo cittadino in persona. Agli articoli di giornale ci si limitò a rispondere: “Non è vero”. Che ci fosse già l’idea dell’ingresso di villaggetti costruendi ex novo (l’esatto opposto dell’Albergo diffuso) nessun cenno. Altrove è andata anche peggio, ma anche meglio. Intanto l’idea si è concretizzata in altri luoghi e ha messo radici, abbastanza robuste. Ma più recentemente agli Alberghi diffusi si è cominciato, sui giornali, a fare il pelo e il contropelo. Questa sorta di racconto-parabola non si occupa di barbieri e dei loro, talvolta, fumogeni argomenti. Alcuni che sanno, lo stanno facendo. Spero che molti altri, che sanno, perché sono dentro queste imprese delicate e complicate, aggiungerei senza spocchia insostituibili, per ridare speranza e forza a tanti nuclei storici della Carnia, lo faranno. Ma se vuoi fare una cosa diversa dall’Albergo diffuso, perché vuoi chiamarlo Albergo diffuso? Ma chi pensa di costruire un albergo classico a Givigliana o a Clavais? Credo nessuno. Nessuno neppure tra gli albergatori che chiamano “concorrenti sleali” gli Alberghi diffusi. Ma certamente si può pensare di realizzare lì un Albergo diffuso. Se non fosse che sono arrivato alla soglia degli ottanta, direi: “Scomettiamo?”. Ma di sicuro c’è qualcuno che ci pensa. Vai e scommetti!

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