Alto Friuli: in Carnia, guai dire la verità, si diventa antipatici di professione

di Delio Strazzaboschi Prato Carnico.

Anche in Carnia, guai dire la verità e comportarsi di conseguenza: si diventa “antipatici di professione”. Così facendo non si ottiene alcun sostegno per un’anziana che non si ricorda niente, al contrario, 104 provvidenze e indennità le percepiscono le false badanti di famiglia cui le vecchiette preparano perfino da mangiare. Si dice di difendere la scuola di montagna, poi per interesse privato degli amministratori si mandano gli scuolabus a portare gli alunni in altro comune (ma, si sa, per qualcuno la politica è una maniera eccellente di affrancarsi dalla durezza della vita). Se un giovane di buona preparazione e volontà cerca occupazione, gli passano davanti tutti i raccomandati e i più finti e diversi handicappati. E se, nonostante tutto, qualcuno riesce perfino a inventarsi un lavoro per sé e per altri, ma non è fra quelli che comandano, lo si maltratta a vita. Guai poi a pretendere il rispetto di una qualsiasi regola civile: si viene subito isolati. Già nel 1438 della curia romana, “scelleratezze, infamie, frodi e menzogne hanno nome di virtù, mentre la virtù, la probità, i retti studi, le arti oneste, non solo non hanno alcun premio ma non trovano neppure un posto. Dovunque regnano e dominano sugli altri gli ignoranti, gli sfrontati, gli scialacquatori, i sordidi, i furfanti. Invece i buoni, i dotti, i moderati, i modesti, i temperanti, giacciono depressi, cacciati, disprezzati”. Si preferisce il suddito docile che può essere manipolato in diverse attività utili all’igiene sociale, come la delazione e l’intrigo, ma anche la moderna partecipazione a una qualche associazione (la prosecuzione della famiglia con altri mezzi). I tempi e le tecniche cambiano, resta sempre uguale il progetto di dominio: l’apparato seleziona gli individui in base al grado di corrispondenza al proprio modello, al conformismo culturale e morale. Continua “l’autobiografia della nazione”, una normalità davvero orribile. Eppure il sistema soffre notoriamente d’una cronica penuria d’intelligenza, perciò dovrebbe tenersi cari gli individui dotati, invece li carica a testa bassa. Ad esempio, al di là di costi e produttività, i dipendenti pubblici in Italia sono 3,435 milioni, contro i 5,785 della Gran Bretagna e i 6,217 della Francia. E dato che nei paesi sviluppati il principale datore di lavoro dei laureati è il settore pubblico, occorrerebbe prevedere l’assunzione di un milione di giovani. Anche perché la favoleggiata ripresa è solo un’illusione; il mondo oscilla tra una tempesta e una crescita stentata, tra una nuova mediocrità e una stagnazione secolare. Per di più, iniettare liquidità nell’economia produce il rischio di bolle speculative e, soprattutto, di aumento delle disuguaglianze sociali, visto che a rivalutarsi sono i patrimoni di chi è già ricco. E uno Stato clericale, che paga le baby pensioni ai cappellani militari, si appresta a derubare gli onesti anche dopo morti (i lavoratori che avevano versato i contributi), tagliando le pensioni di reversibilità. Disfacimento totale. Ma c’è bisogno di qualcuno che resista, anche quando pochissimi sono disposti a farlo, e che difenda il diritto all’uguaglianza, le ragioni dei deboli e perfino quelle della ragione. Come in passato, ci sono tempi e circostanze in cui essere rigorosamente intransigenti è vero realismo, mentre il compromesso collaborativo è povera illusione, poiché sconfitto non è chi perde ma chi si arrende. Urgenza civile e necessità interiore pongono ormai la questione non già di cosa si propone, ma cosa (e anche chi) ci si toglie finalmente di torno.