Una risposta a “Analisi tardiva sugli attori della provinciopoli di Udine”

  1. Ogni tanto il pezzo di carta torna fuori dal cassetto dove l’hai messo e la mia Laurea in Scienze della Comunicazione sbuca fuori facendomi scrivere un post sugli errori di comunicazione, dei nostri rappresentanti a livello locale o che comunque hanno una certa visibilità a livello paesano (quelli che ogni tanto vanno finiscono sul MV per capirci). Colgo casualmente questa occasione per farlo, visto che è passato un po’ di tempo da quei fatti, citando gli interessati solo per realizzare compiutamente questa analisi e non per emettere giudizi, men che mai giudizi politici.

    Avere il consenso delle persone e quindi essere eletti a ricoprire una carica può essere a volte anche abbastanza semplice: un piglio sicuro, l’appoggio giusto, un sorriso e vai. Però tanto è più facile arrivarci speditamente, magari con qualche scorciatoia, tanto è più facile farsi prendere dall’euforia del potere e dimenticare qual è il motivo per cui siedi lì su quei banchi. E così è un attimo passare senza accorgersene da un veloce consenso a un definitivo giudizio negativo in chi dovresti rappresentare.

    Il problema è che il “comunicare se stessi” non è una cosa semplice da costruire e non si improvvisa: prima di tutto perchè bisogna avere intrinsecamente qualcosa da dire o da trasmettere (lo chiamavano carisma?) che non è solo mettere in fila una serie di vuoti comportamenti. Credere che basti essere presenzialisti, o stare con i piedi in + scarpe, oppure dare ragione a tutti o ancor peggio esternare continuamente quanto si è bravi senza mai accorgersi delle occhiate di commiserazione che i presenti si scambiano alle tue spalle, è un grosso errore. Facilissimo da fare e in un primo momento sembra anche produttivo: questo può portare sì a un fuoco di paglia iniziale con il conseguimento di alcuni risultati, ma poi alla lunga se non si è capaci di innovarsi e di essere all’altezza delle nuove cariche o dei nuovi compiti (ancor peggio se si è arrivati li grazie al solo fatto di essere ammanicati con qualche pezzo grosso), allora si finisce con il pagare questo primo parziale successo a caro prezzo.

    Prendiamo l’esempio più clamoroso della provincia udinese di questi ultimi mesi: in molti si sono chiesti cosa avesse fatto di tanto grave questa trentaduenne (si proprio lei) da giustificare tanta acredine nei suoi confronti o comunque di aver provocato una sorta di così forte repulsione a livello anche personale da parte di molta dell’opinione pubblica. Nessuno però ne ha fatto un’analisi seria a livello comunicativo, forse perchè era più semplice buttarla in politica.

    Detta in maniera molto semplice l’errore è stato di aver usato la visibilità e la grossa risonanza a livello mass mediatico offerte dal suo ruolo di consigliere provinciale, per comunicare solo se stessa, le sue ambizioni e quanto si ritenesse brava (e carina?). Questa (alla lunga fastidiosa) è la comunicazione che è rimasta impressa a chi la vedeva comparire spessissimo in televisione: nessuno ricorda un intervento su argomenti inerenti il suo ruolo istituzionale, perché questa vanità “mediatica” ha surclassato tutto il resto e in maniera del tutto indipendentemente dal colore politico del consigliere (se fosse stata di sinistra sarebbe stata la stessa cosa). Mettiamoci insieme anche la discrasia (sempre mediatica) di un ingegnere che vuole occuparsi di cultura e di un sessantottenne che ha atteggiamenti + da adolescente che da nonno e questo è stato il risultato.

    Che conclusioni o (come si diceva in passato) che insegnamenti trarre da questa vicenda? Che la gavetta in politica serve eccome e che quello politico è l’unico settore (anche se non molto produttivo) in cui la precarietà è un valore: così appena uno si scorda cosa ci sta a fare lì, i datori di lavoro lo possono rimuovere dall’incarico.

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