Artisti Carnici: Marco Marra e le sue “Geometrie dell’anima”

a cura di Ermes Dorigo.

Ricerca estetica come impegno etico per una mente chiara e ordinata; dunque, rigore formale come rigorosa disciplina interiore: questa mi pare la cifra semantica dell’arte di Marco Marra. Conoscenza e dominio razionale del Sé e delle sue inquietanti pulsioni; equilibrio e armonia spirituale; creazione e visione dell’immagine come decantazione catartica e come interrogazione meditativa sul mistero dell’esistenza e della vita; tensione delle forme tra finito e infinito; corrispondenze tra micro e macrocosmo; educazione della percezione al bello contro la mercificazione del gusto; bisogno di serenità e aspirazione alla pace; il sogno della coincidenza degli opposti; la fiducia nella forza della ragione; le forme dell’anima razionale come oggetto vero e centrale della rappresentazione artistica: non la realtà – naturale, sociale o individuale – nelle forme della razionalità, more mathematico, ma le forme stesse dell’intelletto con i suoi archetipi percettivi (le forme geometriche) e i suoi simbolismi (colori), che tendono a fondere, in una utopica o possibile o desiderata sintesi, materia e spirito, concretezza ed astrazione.

In questo sollecitare il singolo all’autocontrollo, al miglioramento di sé, alla consapevolezza della propria potenza intellettuale, ma anche della sua fragilità creaturale l’arte di Marra si connota d’impegno civile, perché, proponendosi di migliorare i singoli, vorrebbe contribuire al miglioramento della qualità della vita sociale.

Se tale lettura delle opere di Marra è plausibile, allora ci si rende conto, solo dalla sommaria elencazione della poetica sottesa ad esse, che dietro le tecniche contemporanee dell’Optical Art ci sta qualcosa di più radicato e sedimentato nella psicologia e nella cultura dell’artista: ci sta la tradizione umanistica e un anonimo ancestrale inconscio collettivo con tendenza alla stilizzazione, geometrizzazione, astrazione della materia, che non significa la sua negazione, ma l’affermazione dell’ordine e dell’intervento attivo della ragione sulla opacità, alterità e oscurità di essa. L’arte di Marra rivela, dunque, una triplice appartenenza: al genius loci – inteso non in senso naturalistico ma come abito mentale e strutture percettive astraenti -; alla tradizione umanistica; alle avanguardie contemporanee (più Vasarely che Mondrian, a mio avviso).

Genius loci, dicevo. In realtà, in una zona di frontiera come la Carnia convivono diverse culture che, schematicamente, possiamo ridurre a quella mediterranea (pensiamo alla grande influenza di Venezia nel passato) e a quella nordica: qui agisce, nelle menti e nei cuori e nelle relazioni sociali, in forme contraddittorie, confuse e talora aspre l’antica contrapposizione o conciliazione o crogiuolo tra le tonalità psicologiche, le sensibilità delle genti del Sud e del Nord Europa. L’approdo di Marra al suo ‘classicismo geometrico’ si ha a conclusione di un percorso sperimentale tormentato, che passa attraverso quell’arte nordica dell’angoscia, dell’orrore, degli abissi torbidi dell’interiorità, che è l’espressionismo, che tocca il dolore nel nervo (del quale, comunque, conserva la carica oppositiva ai disvalori). La sua è una scelta, prima che culturale, di vita; un autoperfezionamento di sé per gli altri; la riaffermazione di una identità che è consapevole della oscura potenza dell’inconscio e delle sue sirene, ma che non intende abdicare al primato luminoso della ragione, come chiarezza e ordine individuale, sociale e naturale. Scelta estetica e scelta etico-civile nelle sue opere coincidono.

Certo non è un’opera che si offre al facile consumo; richiede anzi attenzione, riflessione, volontà di superare la sua resistenza di oggetto assoluto, senza riferimenti naturalistici; le forme dell’anima non sono comparabili con quelle della realtà. È necessario familiarizzare con la sua grammatica e la sua sintassi, col suo forte spessore allegorico- simbolico; forme e colori stanno per qualcos’altro, rinviano al altro, ma sempre sul piano della concettualità e della razionalità, in cui vengono sussunte e filtrate anche le sensazioni e le emozioni, proprio perchè l’artista vuol far percorrere al fruitore un percorso conoscitivo e catartico, non emotivamente irrazionale (il sonno della ragione ha generato, nel nostro secolo, parecchi mostri) e consumistico, attraverso il piacere delle forme, delle simmetrie, degli accostamenti di colore con un ruolo fondamentale della luce, retaggio delle sue prime prove post- impressioniste. 

Mi permetto di avanzare un’’ipotesi di lettura, con­sapevole della sua soggettività: del resto, qualsiasi attività critica, se affrontato in umiltà, è solo una approssimazione all’opera d’arte, che per sua natura è polisemica.

Innanzitutto colgo uno dialettica fondamentale tra forme e sfondo monocromatico, che afferisce alle  ‘poetiche dei silenzio’, che hanno caratterizzato tante espressioni artistiche e letterarie del Novecento; tensione tra ciò che è e ciò che È, tra finito e infinito, tra esistenza e vita: si coglie, insomma, una tensione metafisica, che assume varie forme di declinazione del rapporto tra imma­nenza e trascendenza, ora come presenza ora come distanza (il colore dello sfondo identico/simile o diverso da quello della figura).

Troviamo il cerchio, simbolo dello perfezione e dell’aspirazione all’armonia con se stessi, traversa­to talora da linee, che rappresentano lacerazioni, ferite, sofferenze, ma plasmate e placate appunto in questo dolce ventre ‑ il cerchio ci ricorda anche la luna e il sole, il femminile e il maschile, come sovrapposti e conciliati; il cerchio richiama anche il foro della vita – la pietra forata -; ciò che ci porta al di là, al senso e al significato dell’esistenza, la porta verso l’Assoluto. Anche il quadrato è la figura della perfezione, i cui vertici alludono ai quattro elementi vitali – terra, acqua, aria e fuoco-, dicendoci l’appartenenza della vita individuale a quella Cosmica.

E si potrebbe percorrere anche la complessa simbologia dei colori, che dicono dell’anima non le forme ma la ‘tonalità’ : ad esempio, l’azzurro può essere inteso come l’oscurità divenuta visibile; fra bianco e nero è la conciliazione del giorno e della notte, del conscio e dell’inconscio. E poi la dialettica tra colori caldi avanzanti, che indicano attività, e colori freddi, retrocedenti, che indicano passività e debilitazione. Jolan Jacobi, seguace di Jung, scrive: «Il colore azzurro (colore dello spazio e del cielo limpido) è il colore del pensiero; il colore giallo (il colore del sole che viene da lontano, sorge dalle tenebre come messaggero della luce e scompare nell’oscurità) è colore dell’intuizione, cioè di quella funzione che illumina istantaneamente le origini; il rosso ( il colore del sangue palpitante e del fuoco) è il colore dei sensi impulsivi e ardenti; verde invece…».

Le opere d Marra, oltre che conoscitiva, permettono anche una fruizione ludica, nel senso di giocare a l’interpretazione sulla (gradevolmente) intrigante simbologia delle loro forme e dei loro colori; fruizione ludico-conoscitiva favorita dalla piacevolezza dei ritmi quasi musicali della scansione degli spazi e delle strutture compositive.

 

Presentazione nel catalogo della mostra Geometrie dell’anima, Tolmezzo, 1996