Barabba e la Carnia, Domenica delle Palme alla Pieve di Gorto

di Alberto Terasso.

Domenica delle Palme alla Pieve di Gorto, con il cielo ancora terso e il saluto sull’angolo del cimitero: bondì animas di Diu. Dice, è suggestivo. No, è molto di più: le pietre parlano una lingua che non si può decifrare, Google maps non le vede, tanto le tracce che nasconde la Pieve sono profonde, un’abbuffata di segni. Nel piccolo piazzale su colle qualche bambino, tanti anziani. I cantori si contano sulle dita di una mano, sempre che possa stendersi, così com’è, bloccata dall’artrite. E le strette di mano a volte sono acrobazie. Chissà se serve la traduzione: “I sin puocs, rabiuos e triscj”.

E non si confonda triste con cattivo. Sì, la cattiveria sparata in silenzio contro il sole freddo di marzo. The frozen winds of march, diceva il poeta.
Faccio la conta e voglio essere generoso: siamo in sessanta ad ascoltare nella lingua della Carnia il racconto della Passione di Cristo. Ma è solo la passione di Cristo o è davvero in quest’alluvione di simboli, la Passione della Carnia? Nessuno, nemmeno il sacerdote, ne fa cenno. Ma, davvero, “i sin in poucs, rabious e triscj”.

La Pieve rilancia il suo mistero, donne e uomini che sono stati qui nei momenti fondamentali della vita, quelli che riposano appena fuori e vigilano, forse, sulla vallata, quelli che ancora cantano e ti perforano l’anima con la forza della lingua e dei secoli andati.

“Salvaiso Crist o Barabba?”
“I vin dit Barabba”.
“Ma a l’è un brigant”.
“I vin dit Barabba!”.

E improvvisamente è come si svelasse all’improvviso quel che sarà, in qualche modo, di noi. Di fronte a quel che ancora ha da dire questa terra e a quanto ha già portato dentro di noi, lo spreco di valori, lo scialare dei riferimenti, il buttare nei cassonetti dell’indistinto una cultura invidiabile. Scegliere Barabba invece che quest’overdose di identità, rappresentata da una chiesa che sembra un faro per le navi in transito. E, intanto, i guardiani del faro sono piegati dagli anni, aggrappati a un’ancora piccola piccola: quella bambina bionda, la cui testa spunta appena dall’altare e che ha il ruolo davvero sproporzionato di servire messa tra quelle colonne di tufo e quel freddo che entra nelle ossa.

I guardiani, gli ultimi che hanno coscienza di una comunità che si sta arrendendo, sono anche la retroguardia dei soldati – uomini e donne – che hanno a lungo messo in piedi progetti e messo via illusioni. Dice: che spettacolo questa Pieve. Una spettacolo – volendo – che dischiude paesaggi interiori da far venire i brividi, ma a che serve. Anzi, verrebbe da dire: ormai, a cosa serve?

“I vin dit Barabba”.
E Barabba non sa che farsene di questa Carnia forse infidelis, a questo punto. Non sa come ridare vita e speranza a un patrimonio umano che si sta sgretolando sotto la voce “curva demografica” e senza che il brigante sappia mettere in piede almeno qualche trovata da malvivente.

“Puos, rabious e triscj”.
De Andrè poetava della “domenica delle salme”, solo un’assonanza che offre rimandi lessicali non da poco. I rimandi, però, sono ancora quelli dell’entrante settimana di Passione. Temo che abbia una durata insopportabile, quassù, che fino al Venerdì santo tutti capiscano quel che sta accadendo.

E’ la Pasqua che non si vede, nemmeno dal colle della Pieve di Gorto.