Carnia: atletica e doping Venanzio Ortis deluso, non mi riconosco in questo mondo

 

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di Antonio Simeoli.
Basta con le gare drogate dalla chimica. Non ha mezzi termini Venanzio Ortis, ormai quasi 40 anni fa, protagonista di una indimenticabile “primavera” di Praga: argento nei 10 mila metri e, una settimana dopo, oro, incredibile oro, nei 5 mila. Ricorda anche il controllo antidoping dopo quelle gare Ortis. «Semplice – scherza – dopo l’argento nei 10 mila riusci a far pipì subito liberandomi da quell’incombenza con l’antidoping, una settimana dopo sulla distanza mezza dovetti aspettare quasi due ore…un supplizio». Ma con una medaglia d’oro al collo l’attesa fu dolce. No, l’indimenticato mezzofondista non è caduto dal…pero. Non si meraviglia del bubbone esploso con il dossier della Wada, che ha tolto i veli sulle malefatte russe. «È vero, non ho incarichi dirigenziali nell’atletica, sono spettatore di questo mondo, ma sono spettatore interessato con ancora buoni contatti: la cosa era sulla bocca di tutti da oltre un anno. Si sapeva che prima o poi lo scandalo sarebbe esploso. No, non sono meravigliato per nulla». E la cosa rende ancora più tristi. Lo è Venanzio Ortis, un ex atleta che il mondo dell’atletica, quello che ha frequentato e amato per anni, proprio non lo riconosce. Perché? Non ha mezze misure: «Ora assistiamo alle gare con il sospetto che dietro ci sia del marcio. La chimica, queste ormai sono gare con la chimica che domina…la sensazione è quella». Tristezza, ma è così. L’atletica fa i conti con scandali continui: il dossier della Wada con i 400 nomi incriminati, prima ancora i sospetti sugli atleti cinesi sia alle Olimpiadi di Pechino del 2008 che ai Mondiali al “Nido d’uccello” dello scorso agosto. Quindi con un fenomeno come Gatlin che insidia il mito Bolt, ma non lo offusca (per fortuna) dopo che per quattro anni si era visto le corse in tv a seguito di una squalifica per doping. «Non sono più credibili queste gare – continua l’ex campione d’Europa – perché manca una crescita costante e graduale da parte degli atleti. Ai miei tempi c’erano tre categorie di atleti: i forti, i meno forti e quelli che crescevano, i giovani che passo dopo passo arrivavano tra i grandi e a, a suon di risultati, si collocavano in una determinata posizione nel panorama delle varie specialità. Insomma, barare era molto difficile, se qualcuno ci provava veniva scoperto». Ortis è sicuro di una cosa. Ed è forse ciò che gli consente ancora di appassionarsi a uno sport che lo aveva “rapito” sin dalle prime campestri in Carnia corse con la maglietta della sua scuola. «Non ho mai avuto la percezione di essere battuto da un atleta dopato, del resto i miei rivali li conoscevo uno a uno. No, questo lo posso dire con certezza: la chimica non dominava la mia epoca». Eppure Ortis correva nell’atletica dominata dagli squadroni dell’Est, cui si contrapponevano quelli Occidentali o anche gli africani, i dotatissimi (dalla natura) africani. «È vero – continua il campione originario di Paluzza – gli africani degli altipiani nella corsa dominavano anche all’epoca, ma poi s’è scoperto che non era sempre farina del loro sacco. Anche ultimamente la federazione kenyana ha avuto problemi col doping. Insomma tutto il mondo è paese». Già, il doping ai suoi tempi. C’era, ma era agli albori. «Ci allenavamo secondo i manuali del tempo, le ripetute etc etc…poi, verso la fine degli anni Settanta hanno cominciato a farsi largo nuove tecniche. Ricordo il test Conconi, che ha cambiato la metodologia di allenamento consentendo di avere un quadro chiaro della propria preparazione e dei progressi durante l’anno con il calcolo della soglia, poi…». Conconi da guru della medicina sportiva è diventato, con i suoi allievi (vedi il dottor Ferrari, quello finito nella bufera Armstrong, ma anche Schwazer, quello per cui l’Epo era il carburante sopraffino per i muscoli) un laboratorio del doping. Dall’atletica sudore e fatica all’atletica sudore-fatica e laboratorio il passo è stato breve. Uscirne ora? «Non saprei come – chiude Venanzio Ortis – ci sarebbe una soluzione: quella dell’educazione, della cultura per lo sport sano e pulito che deve partire dalle scuole, quelle in cui lo sport però sta sempre più scomparendo». Anche per questo un Venanzio Ortis, l’eroe di Praga, il Friuli e l’Italia lo stanno aspettando da quasi 40 anni.