Carnia: la sovranità appartiene ai popoli e non ai mercati

di DELIO STRAZZABOSCHI

Dopo il terremoto di Borsa del 2008, l’arrendevolezza dei governi ha permesso all’oligarchia finanziaria di continuare a prendere gli Stati per la gola, gonfiandone i debiti pubblici. Mentre la rendita è ancora premiata con un’imposizione tributaria che è la metà di quella applicata sul lavoro, si rinuncia al prelievo fiscale su grandi capitali e patrimoni e si chiede denaro in prestito a quegli stessi privilegiati. Per pagare loro interessi crescenti si distruggono le basi dell’economia reale, si erodono pensioni e sanità e s’inibiscono gli investimenti pubblici, col risultato che sono sempre maggiori le ingiustizie di reddito e beni posseduti. Perché i titoli di Stato, contrariamente a quel che si vuol far credere, sono in mano alle famiglie soltanto per il 12%, mentre tutto il resto è detenuto da banche, assicurazioni e fondi italiani ed esteri. I neoliberisti considerano il mercato luogo della crescita senza fine anziché quello dell’incontro fra bisogni umani e loro soddisfacimento, e manifestano una fede religiosa nella sua efficienza, anche finanziaria, dimenticando che Argentina e Islanda ci sono già passate. E’ qui che si è spezzata l’idea che il debito fosse un’entità superiore cui sacrificare un’intera nazione ed è stata riaffermata invece la volontà del popolo sovrano di decidere quale tango ballare. Dopo le privatizzazioni della notte nero-liberale a beneficio di pochi corrotti, molti beni e servizi sono stati ri-nazionalizzati per il bene comune, imponendo una politica di stampo socialista che ha privilegiato l’economia reale a scapito della finanza, i consumi sociali rispetto alle spese militari. Anche noi avremmo naturalmente grande bisogno di una politica che volesse aver voce in capitolo, perché la sovranità appartiene al popolo e non ai mercati; che tornassero al servizio dello Stato persone competenti e attente al bene comune, poiché l’interesse collettivo è preminente rispetto a quelli individuali, e non banchieri figli di banchieri e funzionari in prestito dalle banche d’investimento. Vorremmo la ridefinizione dei titoli di Stato detenuti dall’oligarchia finanziaria, una cospicua sua riduzione percentuale e una consistente dilazione delle relative scadenze. E soprattutto una commissione d’inchiesta sulle modalità di formazione del debito pubblico nel tempo. A cominciare dagli anni 80, quando governi già allora populisti riducevano le tasse sui redditi maggiori ed eliminavano le imposte patrimoniali, pre-pensionavano il settore pubblico e ne espandevano la finta occupazione, moltiplicavano enti, consorzi e spa pubbliche (e privilegi e ruberie della politica) a fini clientelari ed elettorali. Senza dimenticare il peso elevatissimo degli interessi pagati da tutti al capitale finanziario, che corrisponde al 16 per cento delle crescenti tasse ed impegna il 10 per cento dell’intera spesa pubblica, per finire con alcune componenti del debito particolarmente illegittime e odiose, come gli sprechi e i privilegi di tutte le caste o le enormi ed ingiustificate spese militari. Negli ultimi vent’anni le disuguaglianze fra ricchi e poveri sono enormemente aumentate; non soltanto quelle ben note di reddito, ma anche quelle che riguardano la salute, l’istruzione, i legami sociali, la qualità dei luoghi di vita e di lavoro, la partecipazione civile e politica. Le attese della povera gente, il lavoro a chi non ce l’ha e la casa ai senzatetto, più che inascoltate sono ignorate. Non solo per le prospettive dell’economia, quindi, ma per le sorti stesse della democrazia si dovrà cominciare davvero a far giustizia sul debito, con specifiche politiche di redistribuzione della ricchezza e interventi puntuali per migliorare la qualità della vita.