Carnia: presentazione in anteprima del libro “Umanisti a Tolmezzo” di prossima pubblicazione

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Entro gennaio uscirà per i tipi dell’editore Andrea Moro, e sarà presentato, il mio libro UMANISTI A TOLMEZZO NEL 1500 (ca 500 pp), la cui pubblicazione é stata sostenuta da: Camera di Commercio – CCIAA di Udine (presidente: Giovanni da Pozzo); Comunità Montana della Carnia (Commissario: Lino Not); Città di Tolmezzo (Assessore alla Cultura: Aurelia Bubisutti). Anticipo la presentazione, grazie alla gentile ospitalità in questo blog, perché vorrei che alla presentazione, come in una grande rimpatriata e metaforico abbraccio, fossero presenti gli ormai adulti ex allieve ed ex allievi, che mi hanno dato grandi soddisfazioni, permettendo di realizzarmi come insegnante e in gran parte come uomo, e magari anche dei loro genitori.

Ermes Dorigo

 

UMANISTI A TOLMEZZO NEL 1500

«Meglio intende il suo presente chi é nutrito dell’esperienza del passato»

 

La revisione della geografia culturale non é solo un dovere storiografico, ma si trasforma in un atto etico-civile nel momento in cui, attraverso la giusta rivalutazione delle espressioni letterarie di un territorio, si dà alla comunità, che l’ha espressa in passato, il senso dell’uscita dalla lateralità e marginalità e la consapevolezza di appartenere a pieno titolo ad una comunità più vasta. Tale revisione, per quanto concerne Tolmezzo e la Carnia, deve concentrarsi sul 1400 e 1500, perché é con l’instaurazione del dominio veneto nel 1420, che si diffonde l’Umanesimo e  inizia per questa terra quell’ascesa economica, sociale e culturale che culminerà nel 1700.  Nell’introduzione ai volumi dell’Età veneta del Nuovo Liruti, si fa capire che, accanto a quella nel campo artistico di Domenico e Gian Francesco da Tolmezzo, si può a tutti gli effetti parlare di Scuola Tolmezzina anche per quanto concerne la coeva cultura e letteratura umanistica, da mettere accanto, quindi, all’unica finora esaltata e celebrata Scuola di San Daniele, fondata da Guarnerio d’Artegna (anche se é ben vero che Tolmezzo e la Carnia non vantano umanisti cultori di biblioteche e collezionisti di manoscritti antichi, se si fa  eccezione per Giovanni di Mainardo di Amaro, che visse e insegnò però a Cividale. La sua biblioteca conta 109 codici, tra cui si notano, oltre ai testi grammaticali e propri della professione, opere di mitologia, astronomia, storia, esegesi biblica, patristica, e alcuni volumi di letteratura moderna, da Petrarca e Boccaccio in poi).

Sulla letteratura quattro-cinquecentesca a Tolmezzo abbiamo studi approfonditi su Girolamo Biancone (Pellegrini), il maggior poeta in lingua friulana del secolo; Fabio Quintiliano Ermacora (Tremoli) per il suo monumentale De antiquitatibus Carneae;(Gli avvenimenti antichi della Carnia) e l’edizione critica di Anonimo da Tulmegio, Canzoniere petrarchesco del XVI sec. (Dorigo) di un anonimo poeta petrarchista. Qui  si abbracciano tutti i rappresentanti di essa, anche quelli che per inquietudine o prestigio vissero a lungo o si trasferirono in altre città, in particolare alcuni significativi anche al di fuori dell’ambito locale come Raffaele Cillenio che, come egli scrive, non rimasero «chiusi, senza infamia e senza lode, solamente nella paterna e avita contrada, litigandovi al modo di galli domestici, né mai manifestarono l’intenzione di uscirne qualche volta, e in genere amano solo i campi, i monti, i fiumi e i boschi della terra natia».

 

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Siccome Venezia tiene lontana la nobiltà e l’alta borghesia dal potere «il latino – scrive Tremoli – é sì simbolo di distinzione, ma diviene anche strumento difensivo, utile e necessario per trattare alla pari con i nuovi padroni. Anche per questa ragione si spiegano le cure speciali dedicate all’eccellenza delle scuole – a Tolmezzo fu molto curata la scuola di grammatica e retorica – e la considerazione di cui vien fatto oggetto chi conosce il latino».  Certamente rispetto ai grandi umanisti toscani, i tolmezzini sono dei ‘minori’; però, come scrive ancora Tremoli, «hanno la loro importanza perché rappresentano, quale che sia stata, la cultura della loro terra, e perché ci tramandano con la loro opera una preziosa serie di testimonianze su quella che fu la condizione sociale del loro tempo». Basti leggere di Anteo Cillenio il suo poemetto De peste Italiam vexante (La peste che travaglia l’Italia)del 1577, che ci dà  in chiave controriformistica un quadro apocalittico del passaggio dalla società feudale a quella borghese, caratterizzato dalla crisi della famiglia e del matrimonio, dall’adulterio, dalla lotta di tutti contro tutti, dalla smania del denaro, dalla pratica dell’usura: una società rissosa e violenta.

Paradigmatica rimane, comunque, l’opera di Rocco Boni  autore di un poema di 1694 esametri dal titolo Austriados Libri quatuor, (Austriade, libri quattro) pubblicato nel 1559 a Vienna per i tipi di Michele Zimmermann, dopo essere stato approvato dal Collegio poetico di quella celeberrima Università e dal suo Rettore, il Magnifico Giorgio Eder, giureconsulto, e dedicato alle Maestà di Ferdinando I, imperatore dei Romani, e di Massimiliano, re di Boemia. Opera, probabilmente commissionata – a conferma di quanto afferma il Menis, che Venezia « vide nel Friuli una preziosa area strategica per la salvaguardia dei suoi fragili confini con l’Austria» –  ad un suddito letterato di confine, sotto la minaccia di consegnarlo all’Inquisizione, che ha soprattutto lo scopo di accentuare i legami di pace e di amicizia tra Venezia e Austria (era ancora aperto il contenzioso per il dominio su Aquileia); quindi al di là del volo dell’autore (abbiamo qui la prima visione ‘aerea’ di Tolmezzo: «Di seguito vediamo le torri di Gemona, e le alte / mura di Tolmezzo, e le fortificazioni disposte sui colli./ Quindi vediamo le rovine spianate al suolo dell’antico / Foro di Giulio, ricoperte da erbacce selvatiche; / si notano delle tombe e blocchi di marmo incisi con epigrafi») , trasportato da Mercurio sull’Olimpo e ad Augusta e dei panegirici dei due Asburgo, conta soprattutto la continua sottolineatura della bontà del governo veneziano e della sua più volte ribadita «alleanza perpetua» e convivenza pacifica con l’Austria, e di questa il buon governo in Friuli con un lungo epinicio bucolico di Gorizia e del suo territorio, con Gradisca e Trieste domini austriaci.

La ricchezza  culturale di Tolmezzo é per certi versi sbalorditiva se si pensa, come scrive il Valvasone  che nella capitale «di tutta la Cargna, abitata da persone civili e di acuto intelletto, conforme a quell’aere sottile, ben fabbricata, e nei tempi estivi molto allegra, … sono state descritte 950 anime». Certamente nel 1400 esistevano quivi piccoli centri culturali ed accademiuole, dalle quali emerse una vera e propria stirpe di umanisti, i Cillenio: Raffaele, il più famoso di questo casato, che ha dato numerosi letterati di humanae litterae , firmava talora le sue opere  «Cillenio Angeli» o «Cillenio De Angelis»; secondo il Puppini «si sa che la famiglia dei Cillenio si era imparentata in qualche modo con il notaio e cancelliere tolmezzino Cristoforo Angeli». A mio avviso si potrebbe suggerire una diversa ipotesi circa il cognome, ovvero che quello reale fosse ‘Angeli’; probabilmente, in un qualche cenacolo letterario, dov’era consuetudine assumere uno pseudonimo, un Angeli scelse quello di ‘Cillenio’ (monte d’Arcadia, dove nacque Hermes-Mercurio, dio della parola), che divenne il patronimico, salvo poi, nei casi di possibile omonimia, riprendere e/o aggiungere il cognome originario. Tale ipotesi parrebbe suffragata dai nomi dei Cillenio che, espressione dell’umanesimo cristiano, ricorsero a due campi onomastici: quello della classicità (Mercurio, Eumene, Evandro, Anteo, Nicolò, Damasceno) e quello biblico-evangelico (Giuseppe, Raffaele…); vale a dire che la costruzione dell’immagine di ‘maestri di umanità’ sarebbe stata affidata, prima che all’opera, all’ipersemantizzazione dei nomi e dei cognomi.

Tra questi sono ricordati Nicolò Cillenio senior e la sua opera in versi Psyches–Rhapsodiae duas, (Due Rapsodie di Psiche) molto complessa stilisticamente per gli arcaismi e ideologicamente, il quale, in odore d’eresia,  dietro un’adesione di facciata, spesso ironica, al clima controriformistico, dimostra una profonda nostalgia per le origini greco-etrusche della cultura latino-italiana, esaltando la libera ed eclettica cultura umanistico-rinascimentale soffocata dal cattolicesimo, il mondo metamorfico dell’alchimia, le teorie orientali di Zoroastro, l’esoterismo misterico delle antiche religioni nella figura centrale del mitico cantore Orfeo; il nipote, Nicolò Cillenio junior – citato brevemente, per scarsità di documenti, figlio del più famoso Raffaele Cillenio, che merita un’attenzione particolare, in quanto autore di numerose opere in prosa e versi, in latino e in greco.  

Raffaele insegnò per molti anni a Venezia e Verona, fu autore di un manuale per aiutare la memoria degli allievi ad apprendere le tecniche dell’arte oratoria, lodato, consigliato e utilizzato in molti ambienti scolastici. Per nostalgia, ma anche per problemi di isolamento, emarginazione e solitudine, ritorna a Tolmezzo nel 1573, dove viene assunto nella locale scuola con il cospicuo stipendio di 130 ducati; dentro di sé, per quanto legato alla terra natia, coltiva però sempre il desiderio di concludere la sua carriera d’insegnamento nella capitale della Patria del Friuli, Udine; il che avrebbe rappresentato la consacrazione definitiva del suo magistero nelle humanae litterae, la gloria e la fama, cosa ben diversa della rinomanza di cui già godeva: «uomo lodato dai maggiori Letterati d’Italia» (Liruti). Finalmente un anno prima della sua morte Raffaele compone l’Oratio ad cives utinenses habita pridie Nonas Decembris 1594, che rappresenta il vertice della sua arte oratoria, in occasione del conferimento della cattedra di Lingua Latina e Greca nella città di Udine, della quale ci restituisce un’immagine stupenda pur nel tono da panegirico.

 

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Altri umanisti, pur padroneggiando latino e greco, anche per motivi professionali predilessero l’italiano. Il medico Giuseppe Daciano, che, dopo aver svolto a Tolmezzo la sua professione, acquistò una tale stima e rinomanza per cui la città di Udine lo prescelse come suo Medico con lauto stipendio; si distinse soprattutto nelle varie pestilenze ed é autore nel 1576 del Trattato della peste e delle petecchie, osteggiato dalla corporazione scientifica e dalla Chiesa, in quanto opera di divulgazione scientifica in volgare al di fuori della cerchia degli specialisti.

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Francesco Janis, «dottor di Leggi stimatissimo, et Oratore facundissimo e perciò adoperato in negozi di grandissimo rilievo non meno dalla Patria, che dalla Repubblica» (Capodagli) sul quale viene riportato il Sumario del Sanuto Viaggio in Spagna di Francesco Janis di Tolmezzo del 1519-20,  che racconta della sua missione su  incarico della Serenissima presso Carlo I, re di Spagna, che proprio mentre si trovava lì fu eletto Imperatore col nome di Carlo V, per risolvere, come fece, la questione tra la Spagna e Venezia, che chiedeva la liberazione di navi e merci di sudditi veneziani, sequestrate da alcuni mercanti spagnoli come rappresaglia per presunti danni patiti.

Infine quell’Anonimo –  prima dell’edizione critica attribuito a Giuseppe Cillenio -, autore di un Canzoniere petrarchesco, unico come s’é detto in Regione, sulla cui scrittura e ambientazione a Tolmezzo non ci sono dubbi: «Ma tu beato coro, / Che lungo al bel Tulmegio / Di Lei soavemente vai cantando»; «Tulmegio, tu poi ben di suoi costumi / Andar altiero, e le tue donne belle / Reverenti venir a farli onore»; «Udranle adunque almen, tra fiamme e gelo, / il bel Tulmegio, ogni sua riva e fiume, / poi che tanto non po’ mio basso stile».