Cervelli “digital native”

I  nuovi "digital natives", coloro cioè che sono nati nella società digitale e hanno riempito i loro circuiti cerebrali dei meccanismi dei videogiochi, prima ancora di quelli della lettura, sono i ragazzi che stanno portando i loro nuovi schemi nella società e nel mondo del lavoro. Sono stati influenzati, ma anche in parte vaccinati, dagli oltre 500.000 spot cui sono stati esposti, sono quelli che non hanno bisogno del manuale per cominciare a usare un qualsiasi strumento elettronico, quelli quindi che in modo naturale imparano provando, per tentativi ed errori. Quelli che sono portati a funzionare in modalità "multitasking", cioè lavorando contemporaneamente su più compiti, con funzionalità mentali e operative spesso molto diverse e distanti. Sono anche abituati a essere "always on", sempre accesi e connessi, collegati all’infinita rete che minuto per minuto sta creando la nuova intelligenza collettiva, dove si possono vivere vite ipertestuali, parallele.<br />
Non si può non partecipare a questa avventura, affascinante, e nello stesso tempo creatrice di grandi incertezze. Si può però, ed è questa forse la vera sfida nella sfida, cercare di darle sempre dei significati, del senso. Nel momento in cui le interfacce tecnologiche portano i pensieri, le rappresentazioni interiori, gli "oggetti mentali" a diventare in tempo reale "oggetti digitali" complessi, disponibili a tutti, le potenzialità di educazione ed evoluzione personale diventano fantastiche, le possibilità di scambio ed apprendimento vertiginose.
D’altra parte gli scenari dicono anche che, a esempio, saremo sempre più "tracciati", che tutte le nostre funzioni, comportamenti, atteggiamenti, preferenze saranno ininterrottamente registrate e immagazzinate, e la nostra vita riprodotta, col suo spazio-tempo esterno e interno, su tanti database. Più o meno consultabili. Tanto che c’è chi sta già progettando i vestiti per l’"invisibilità digitale", da indossare per ridiventare invisibili alla rete, e riappropriarsi della propria vita naturale.
Insomma, è davvero importante correre, ma non sarebbe male chiedendosi anche sempre verso dove e perché.