Crisi Alto Friuli: la situazione al 25 giugno 2009

Nessun miglioramento sul fronte delle grandi imprese in Alto Friuli. Negli ultimi sei mesi, salvo Automotive lighting che si è chiamata fuori dalla crisi (unica azienda del gruppo Fiat a non usufruire attualmente degli ammortizzatori sociali), le maggiori industrie, metalmeccaniche sì, ma anche tessili e quelle impegnate nei settori di carta e legno, accusano il colpo . Sono complessivamente oltre 4 mila e 500 i lavoratori dell’Alto Friuli alle prese con uno strumento di ammortizzazione. Mille 238 i contratti di solidarietà, 2.043 le Cigo, 1.245 le Cigs. Fa eccezione, come detto, lo stabilimento tolmezzino del gruppo Automotive: «Non solo ha smesso con gli ammortizzatori richiamando tutti al lavoro – dichiarano Alessandro Forabosco e Ivano Monguzzi, rispettivamente segretario generale della Cgil Alto Friuli e membro della segreteria Cisl AF -, ma sta addirittura chiedendo straordinari. L’inversione di tendenza è frutto degli incentivi auto concessi dalla Germania, ma soprattutto del prodotto d’alta gamma che esce dallo stabilimento carnico. Qui, infatti, si producono fanali a led per alcuni grandi marchi. Audi e Bmw per tutti». Altrove si sta peggio. «In ambito metalmeccanico desta preoccupazione la Weissenfels a Tarvisio, che stiamo seguendo con attenzione, mentre speriamo che la chiusura della Luvata (Ex Eco) a San Vito non incida sulla Eco di Amaro che, salvo la Cigo in corso, a oggi non presenta particolari criticità». Nuovi ammortizzatori in vista per due aziende del gruppo Pittini. «Dopo la Cigs di Ferriere Nord, aperta negli ultimi sei mesi così come alla Dm Elektron di Buja e alla Weissenfels, ora ci è stato chiesto un incontro per estendere la cassa straordinaria anche a Siat e Pittarc – annunciano Monguzzi e Forabosco -. Non possiamo certo dire che in generale la situazione sia migliorata. Anzi, un leggero peggioramento è evidente se consideriamo in questo quadro anche la difficoltà delle piccole imprese». Dall’analisi dei dati raccolti al 22 giugo, emerge infatti un generale ricorso agli ammortizzatori, che come detto coinvolge anche settori diversi dal metalmeccanico. Quello del legno – sia Snaidero che Fantoni hanno fatto ricorso a contratti di solidarietà -, quello del tessile – Cascami, Visottica, Ledragomme, Complast hanno Cigo in corso – infine la carta, «che ci preoccupa particolarmente – dichiarano i due sindacalisti -. Più volte nel corso degli ultimi mesi abbiamo chiesto incontri alle proprietà, ma interloquire con questi grandi gruppi nazionali è difficile. Tre mesi sono passati dalle richieste. Stiamo ancora aspettando».

Intanto la crisi si fà sentire anche nell’artigianato: prima era toccato alle grandi patire questa crisi, pagarne il prezzo, riducendo la produzione e facendo ricorso agli ammortizzatori sociali per tenersi strette le maestranze.
Oggi a sentire il contraccolpo sono piccole aziende, artigiane per lo più, molte delle quali operative nell’indotto delle grandi industrie.
L’effetto a catena, soprattutto in quest’ultimo caso, era presto o tardi inevitabile e a oggi ha investito decine e decine di micro aziende. Di queste, 43 hanno fatto ricorso agli accordi di sospensione per un numero complessivo di 360 dipendenti. Nella lista compaiono ditte di rilievo come le bigiotterie Az e Az2 di San Daniele, ricorse alla sospensione per un totale di 40 dipendenti, la Lampor di Prato Carnico per 20, la Ektron di Trasaghis per 18, la I.E.S. di Buja per 12.
Molte, invece, in questo elenco non ci sono, alcune perché fortuna loro ancora reggono, altre perché invece hanno scelto la via del licenziamento.
«La più parte – dichiarano i sindacalisti Alessandro Forabosco (Cgil) e Ivano Monguzzi (Cisl) – non si rivolge nemmeno al sindacato e licenzia direttamente, senza usufruire degli ammortizzatori a disposizione. Sappiamo dagli uffici vertenze che di casi ce ne sono diversi, ma definirne con precisione il numero è difficile. Certo è che il fenomeno esiste e che non ci permette di avere interamente sotto controllo la situazione.
Se non riusciremo a frenare questa tendenza e d’altro canto le istituzioni non sosterranno la possibilità di un concreto accesso al credito per queste micro aziende, in autunno molte di loro potrebbero correre e seriamente il rischio di chiudere i battenti».
Con tutto ciò che ne conseguirebbe dal punto di vista occupazionale in un territorio, come quello dell’Alto Friuli, costellato di piccole imprese