Friuli: adesso che Roma taglia siamo tutti autonomisti, di Gianfranco d’Aronco

di GIANFRANCO D’ARONCO

Tutto ci saremmo aspettati: il risveglio dal lungo sonno del Movimento Friuli, la nascita o la rinascita di gruppi autonomisti, persino di fronti per la indipendenza e via dicendo. La stagione è favorevole, un po’ come l’autunno piovoso coi funghi. Arriverà l’inverno, e poi “la primavera in fior mena elezioni”, come diceva press’a poco Enotrio Romano. Tutti sanno che per i partiti di destra l’autonomia non è mai stata un tema prioritario: se mai l’inverso. C’è stata ora la bella trovata montiana dell’abolizione delle province, senza guardare in faccia ad alcuna: via quelle con meno di 350 mila abitanti e di 2 mila 500 chilometri quadrati, quelle virtuose e quelle indebitate a piacere, quelle storiche e quelle inventate di sana pianta. Tondo il presidente, anziché reagire (come sarebbe: “La nostra è una Regione a statuto speciale, decidiamo noi”), ha subito detto di sì; anzi, meglio varrebbe abolire le province tutte quante. Ma forse da lui pretendiamo troppo. Perché la prospettiva nascosta sarebbe quella di un definitivo accentramento del potere in una Trieste: se non proprio “caput mundi”, almeno di una regione unica, unitaria, unificata, uniforme: fatta da una città e da un contado. Questo, si capisce, nell’interesse del Friuliveneziagiulia. Fatto si è che lo stesso presidente, a suo tempo (aprile 2003), aveva dichiarato con una frase storica: “Io e Cecotti la pensiamo semplicemente in maniera diversa. Lui crede nell’autonomismo, io no. Non ci può essere la politica slegata dai partiti tradizionali”. E in altra occasione (agosto 2008) ha riaffermato: “Ho sempre sostenuto che la nostra autonomia non è un totem”. Non male per un presidente chiamato a preservare una Regione ad autonomia particolare. Questo non impedisce tuttavia che, inaspettatamente, sempre Tondo intenda ora far suo il motto, un tempo deprecato e deriso, che suonava “di bessoi”. Anche il presidente del Consiglio, il tecnico Monti ha finito per deluderlo, dice. “Se l’esecutivo la pensa diversamente, vorrà dire che faremo da soli” (noi e il Veneto). Ancora, chiaro e Tondo: “Non intendo agitare bandiere secessioniste; si tratta non d’invocare l’indipendentismo”, ma semplicemente di lasciarci fare. E ciò perché da parte del governo esiste “una chiusura verso poteri regionali”. Così il Nostro ha concepito in vista delle elezioni primaverili un partito seminuovo, “che abbia una forte autonomia da Roma, ma non solo nei confronti dal partito, ma anche del governo”. La sigla? “Penso”, ha continuato, “al Popolo del Friuli Venezia Giulia per Renzo Tondo presidente” (che sarebbe lui). Non contento, ha colto la occasione del 4 novembre a Redipuglia, per invitare Parlamento e Governo a riconoscere il valore dell’autonomia e della specialità. “La nostra specialità ha una storia che viene da lontano”, ha fatto sapere a Fini che era lì. Interpretando il pensiero del governatore friulangiuliano, un suo interprete autorizzato da sempre vicino, Alessandro Colautti, come è stato scritto sulle pagine di questo giornale nei giorni immediatamente successivi all’annuncio, ha invocato “una spinta per regionalizzare la sua fisionomia” (del partito): “Serve un Pdl regionalizzato”, ha insistito. Per dirla tutta con giustificata insistenza: “Per il Pdl di questa Regione serve maggiore autonomia (…). Al centro della mission del Pdl Fvg, regionalizzato e resosi autonomo da Roma, deve essere posta la questione della salvaguardia della specialità”. Mica finita con la scoperta dell’autonomia. Dopo Tondo e C., ecco il coordinatore regionale dello stesso Pdl, Isidoro Gottardo, che parla di “diritto all’autonomia del Friuli Venezia Giulia (…). Noi pensiamo che l’autonomia speciale sia una grande conquista e che abbiamo non solo il dovere, ma anche il diritto di difenderla strenuamente”. L’ammonimento piacerà in particolare a chi si è battuto per la medesima autonomia speciale, tenacemente contrastato, da cinquant’anni almeno. Lo stesso Gottardo rivendica “una forte autonomia da Roma (…). Se non gestiremo la Regione per conto nostro saremo spogliati di tutto, autonomia speciale compresa. Dobbiamo invece innalzare le barricate (!), perché da parte del governo c’è una sospensione della democrazia e noi dobbiamo difendere la nostra comunità”. Si tratta di “una proposta diversa, autonoma”, perché “il nostro coordinamento regionale è troppo appiattito su Roma”. Occorre Fede (non Emilio) su Tondo: “Sia lui ad avviare una nuova selezione anche dei candidati” (solo dei candidati, non ancora gli eletti), “lui che ha avuto il coraggio di spaccare con Roma”. Dopo il coordinatore, ecco un sindaco, Zanin, pronto ad affiancare Tondo. “Abbiamo sempre creduto nell’autonomismo (…). Monti sta ammazzando la nostra autonomia”. Occorre un partito regionale. E insiste a ragion veduta: “La responsabilità di scegliere i candidati è di Tondo, è del leader, è lui che oggi rappresenta la novità”. Tutto è possibile a questo mondo, e cambiare giova. Un tale nel 1918 spiegava sul “Popolo d’Italia” perché da socialista stava diventando fascista. “Un uomo intelligente non può essere una cosa sola. Non può, se è intelligente, essere sempre la stessa cosa. Deve mutare. Non si può essere sempre socialisti, sempre repubblicani, sempre anarchici, sempre conservatori. L’immobilità è dei morti”. Nella ripristinata democrazia di casa nostra, un altro presidente di Regione – Antonio Comelli, senza dubbio apprezzato per la sua opera complessivamente positiva -, aveva bocciato nel 1984, in sede di assemblea regionale, la sacrosanta proposta del Movimento Friuli (originaria di Tessitori) per un’autonomia da Trieste. “Indebolire la Regione significherebbe indebolire il Friuli come la Venezia Giulia”, aveva dichiarato. “E’ una posizione antistorica quella degli autonomisti” . Le diversità tra il Friuli e Trieste ci sono, però “al tempo stesso individuano la civiltà comune della nostra Regione”. A distanza di dodici anni, quello stesso presidente scriveva invece che si potrebbe “prevedere per Trieste ed il suo territorio una forma di autonomia particolare nell’ambito dell’attuale regione; subordinatamente però alle necessarie modifiche costituzionali tra cui, in primis, quella che stabilisce il trasferimento della sede del capoluogo regionale a Udine. E ciò anche per la considerazione che Trieste non ha saputo o potuto, per le troppe differenze che la contraddistinguono dal resto del territorio regionale, assumere e vivere il ruolo di capoluogo”. Finalmente d’accordo. Il fatto è che oggi, visto il naufragio irrimediabile di Silvio Berlusconi, i suoi seguaci saltano su una zattera battezzandola Friuli. Ma il partito come-nuovo è “un trucco elettorale”, ha detto Debora Serracchiani da sinistra. Niente di personale da parte mia, beninteso. Il presidente, accentratore in Regione, non mi giudichi impertinente, se affermo che rivendicare i diritti all’autonomia, per di più speciale, potrebbe far piacere, se non provenisse da chi li ha lasciati perdere fino a ieri. Mi consenta: corrono ben altre prove per convincerci. Impertinente è chi parla a sproposito. E io ho solo fatto parlare lui e gli altri.