Friuli: le aziende italiane in Carinzia? Pochissime

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di Marco Di Blas.

 L’Aba-Invest in Austria è un’agenzia del Ministero del lavoro che promuove gli investimenti stranieri nel Paese. Lo stesso compito svolgono a livello regionale analoghe agenzie presenti nei Länder. Non in tutti i Länder. Alcuni sono pressoché inattivi su questo fronte, mentre la Carinzia, al contrario, è tra i più intraprendenti: la sua “Entwicklungsagentur Kärnten” (che significa Agenzia per lo sviluppo della Carinzia) promuove dai tre ai quattro work-shop all’anno in tutto il Nord Italia. L’ultimo si è svolto in giugno in provincia di Brescia e ha visto la partecipazione di 130 imprenditori della zona, segno indiscutibile che le proposte carinziane (e austriache) sono molto allettanti: fisco leggero, burocrazia snella, giustizia rapida, incentivi alla ricerca, delinquenza inesistente, possibilità di licenziare ad libitum perché gli ammortizzatori sociali non lasciano nessun lavoratore a terra. Insomma, il mondo sempre sognato da qualsiasi imprenditore. Quanti si sono lasciati sedurre da questi richiami? I dati forniti da Eak sono allarmanti e fanno pensare a una vera e propria fuga oltre il confine di Tarvisio. A Brescia le rappresentanti dell’agenzia hanno riferito di 28 aziende che soltanto nel 2013 si sarebbero insediate in Carinzia. In una nota diffusa tre giorni fa si fa un bilancio degli ultimi 15 anni, nei quali sarebbero ben 400 le aziende italiane che hanno messo piede nel Land confinante, di cui 110 con l’assistenza di Eak, che attualmente sta seguendo 82 nuovi progetti, di cui prevedibilmente l’8% giungerà in porto. Il numero impressiona, ma lascia perplessi e per questo abbiamo usato il condizionale. In primo luogo perché il dato dell’Eak non sembra compatibile con quello fornito dall’Aba. L’agenzia nazionale, infatti, ha diffuso un comunicato, ripreso in Italia da Il Sole-24 Ore e in Austria da Wirtschaftsblatt (l’unico giornale economico del Paese), in cui annuncia un “record” di insediamenti italiani nel 2013: 35. Insomma, 35 aziende italiane in tutti i nove Länder austriaci, di cui ben 28 (stando ai dati forniti da Eak) sarebbero concentrate in Carinzia. Possibile che soltanto 7 abbiano messo radici altrove? A Vienna, per esempio, che è l’area di maggior richiamo, o in Tirolo, confinante con l’Italia come la Carinzia? Per tagliare la testa al toro siamo andati a cercarle queste aziende nelle zone industriali del Land, che non sono tantissime. Dovrebbero pullulare di fabbriche italiane (400 secondo Eak), mentre invece ne abbiamo trovato solo 8, che diventeranno 9 nel 2015, quando a Hermagor avvierà la produzione anche una start-up di operatori toscani. E tutte le altre? Abbiamo chiesto all’Eak di fornircene un elenco, ricevendo una motivata risposta negativa, «in quanto siamo obbligati all’assoluta confidenzialità nei confronti dell’opinione pubblica e dei media, sia riguardo ai progetti in corso, che ai progetti di insediamento già attuati». D’accordo, ma una fabbrica straniera che monta un capannone e assume manodopera non passa inosservata. Anche nel riserbo di Eak, qualcosa si sarebbe saputo. Sorge allora il legittimo sospetto che i dati forniti dalle due agenzie siano veritieri – trattandosi in entrambi i casi di società pubbliche si deve presumere che non diffondano falsità – ma che vadano riferiti alle “imprese” nella definizione molto ampia che ne dà il codice civile: qualsiasi impresa, anche la gelateria italiana che di recente è stata aperta all’imbocco dalla Hauptplatz di Villach e la srl che un italiano ha costituito ad hoc per comprare un appartamento a Bad Kleinkircheim scaricando l’Iva. Insomma, non fabbriche con macchinari, operai in tuta blu, sudore e viavai di camion, ma qualcosa d’altro. È un’ipotesi in attesa di verifica, ma intanto possiamo stare tranquilli: la fuga di aziende dall’Italia in 15 anni si è limitata a 8 casi.