Friuli: convegno nazionale su “Il Prosecco in Friuli”

di CLAUDIO FABBRO

 
Il convegno nazionale su “Il Prosecco in Friuli” organizzato sabato 9 ottobre scorso a Rauscedo dai Vivai cooperativi (Vcr) ha consentito di rivisitare il vitigno e il relativo vino sotto il profilo storico, culturale, vivaistico, agronomico, enologico e ovviamente di mercato. Se quasi 300 partecipanti, in una giornata di splendido sole funzionale a belle gite fuori porta, hanno preferito dedicare oltre quattro ore del loro tempo alla questione significa che lo spumante (Prosecco),  figlio di un vitigno (Glera) emigrato nel ’700 nel Veneto dove ha fatto fortuna per poi tornare là dove è nato, è tema di grande attualità. Anche perché, dopo una vendemmia tormentata come poche, a bocce ferme è tempo per il viticoltore di guardarsi in giro per trovare nuovi mercati e capire dove sia il caso di accelerare o di frenare. Con il “Friulano” che stenta a decollare, il Pinot grigio che gli Usa hanno imparato a farselo da sé, con le uve rosse dimezzate causa le gelate di dicembre 2009, ma non per questo raddoppiate nelle quotazioni, con la Ribolla (gialla) che, grazie alle “bollicine fine e persistenti”, scende dai colli di Oslavia e Rosazzo per godersi la laguna, che ci sia un po’ di confusione anche nel comparto che per tanti anni ha retto bene è innegabile. Per dirla con l’agronomo Walter Biasi, non è che la Glera sia vite buona per tutti i siti e le stagioni. Ma d’altra parte con la Flavescenza dello Chardonnay, il Mal dell’Esca del Sauvignon, le bizze del Cabernet Sauvignon e del Pinot nero, non è che la concorrenza stia meglio. Dati alla mano, secondo Eugenio Sapori, direttore dei vivai Vcr, da tre anni a questa parte la richiesta di barbatelle da un decennio ferma a un milione di pezzi è schizzata a quasi 10! E lo stesso Marco Fantinel, uno che di mercati mondiali se ne intende, osserva che con i vini rossi in sofferenza le bollicine (giovani e “Charmant”) crescono almeno del 20% insidiando i classici di casa nostra nonché i blasonati Champagne e Cava. Molto apprezzate le conclusioni dei lavori tratte dal vice-presidente della giunta regionale, Luca Ciriani, che ha inquadrato il “caso Prosecco” nell’ambito di un più complesso quadro agroalimentare in cui le tipicità e le biodiversità rappresentano un valore aggiunto alle produzioni regionali in cui autoctono e universale comunque si integrano bene. Chi scrive prende atto che ormai nella vigna la figura del “commerciale” supera, per la proprietà, quella dell’agronomo e dell’enologo. E allora, non senza nostalgico “amarcord”, ricorda i profumi e i sapori che solo vecchie viti (30, 40 e più anni) sanno offrire. Ma se la globalizzazione enoica, asservita alle mode, ha imposto ritmi e rotazioni biennali proprie dell’orticoltura, non ci si meravigli poi se un patrimonio di secoli di storia, cultura e tradizioni si avvia alla progressiva rottamazione. Con buona pace di quei proibizionisti che vorrebbero imporre l’etilometro anche alle balie che guidano la carrozzella del pupo!