Friuli: conviene portare i risparmi oltreconfine ?

Di fronte alla crisi delle banche e ai crolli delle borse, chi abita in Friuli ed ha qualche euro da parte, sicuramente ci ha fatto un pensierino: li porto o non li porto i miei risparmi in Slovenia o in Austria? Ma conviene? Interessi favolosi per i soldi depositati in banca oltre confine? Non proprio. A volte accade che i condizionamenti psicologici facciano la differenza fra la verità e il canto di una sirena. È accaduto (e continua ad accadere) per il pieno di benzina, che è vero – in Slovenia costa qualche centesimo in meno rispetto alla prima fascia regionale in Friuli Venezia Giulia. Ma è altrettanto vero che con le spese di viaggio si va quanto meno in pari.

Avviene qualcosa di assai simile con i risparmi portati "oltre", come si diceva quando "oltre" significava al di là dell’Occidente. Ma nell’Europa di Schengen le cose sono cambiate parecchio anche sotto questo aspetto. E se è credibile che molti investitori privati italiani stiano trasferendo i propri soldi dalla Croazia alla Slovenia, è però assodato che la convenienza vale a malapena le spese di viaggio, per quanto breve possa essere.

Naturalmente, ogni istituto bancario propone prodotti finanziari diversi a condizioni leggermente diverse. Noi, considerando che si parla di Slovenia e Croazia, abbiamo assunto a riferimento la Hypo Alpe Adria, il cui gruppo è presente non solo in Austria e Italia, ma in tutta la penisola balcanica e in altre realtà del bacino danubiano. In Croazia, per cominciare, è possibile spuntare un interesse annuo al lordo di tasse e commissioni pari al 5,5 per cento per depositi-obbligazioni a vincolo biennale, tuttavia se si va a praticare un’operazione a breve, ad esempio un deposito vincolato tre mesi per il taglio generalmente minimo di 50mila euro, ecco che il tasso scende al 3 per cento (sempre su base annua e al loro delle imposte). E in Italia obbligazioni a 24, 36 o 48 mesi rendono analogamente un interesse attorno al 5 per cento. Nel nostro Paese i depositi sono garantiti per legge fino a 103 mila euro.

La ragione per la quale, in tempi di altissima instabilità finanziaria, una parte dei clienti esteri (e italiani in particolare) valuta di far migrare le proprie sostanze dalla Croazia alla Slovenia è presto detta: il senso d’insicurezza del sistema nazionale, che garantisce soltanto il 20 per cento del capitale investito. Quanto agli investitori croati, è fortemente improbabile che decidano di trasferire i soldi sotto la bandiera di Lubiana, dove ancora non si è risolta la controversia innescata negli anni Novanta: allo scoppio delle guerre balcaniche, parecchi croati credettero di mettere i risparmi al sicuro nelle banche slovene o in quelle serbe, ma la Ljubljanska Banka di Lubiana e la Jugobanka di Belgrado congelarono i loro conti: si valuta che il credito (finora non soddisfatto) vantato dagli investitori croati in Slovenia ammonti a circa 300 milioni di euro e sarà questa una probabile materia di trattativa in vista dell’adesione di Zagabria all’Unione europea, accanto alle vecchie questioni di confine marittimo e terrestre.

In Slovenia, in effetti, lo Stato garantisce il 100 per cento del capitale investito, la fiscalità sugli interessi maturati è leggermente più favorevole rispetto a quella italiana e un deposito vincolato per tre mesi (in pratica un’operazione di pronti contro termine) con almeno 50mila euro rende il 4,6 per cento lordo (tasso annuale). Ma al di qua del confine la stessa operazione rende il 4,3 per cento, senza l’incomodo del viaggio. Questi tassi interessanti sono resi possibile dall’applicazione dell’aliquota fiscale del 12,5 per cento (riservata a investimenti più lunghi di tre mesi): infatti tecnicamente la banca investe i soldi del cliente in titoli che conserva nel proprio portafoglio e le cui scadenze sono diverse è più durature dei termini del singolo deposito vincolato.

Il problema decisivo, tuttavia, è un altro: si chiama Fisco italiano. Nell’Europa comunitaria vige una norma piuttosto restrittiva: gli interessi maturati da un cliente straniero ma residente nell’Unione vengono comunicati, con ammontare e generalità del cliente, all’Amministrazione finanziaria del Paese in cui la persona (o l’impresa) ha abitazione o sede. L’italiano che investe quattrini oltre frontiera ha l’obbligo fiscale di dichiarare i proventi dei suoi investimenti nella misura eccedente i 10mila euro complessivi (una sorta di franchigia). Su questi soldi viene applicata l’aliquota Irpef più alta del proprio reddito, perché si sommano agli altri introiti: in ogni caso largamente al di sopra delle imposte che si pagherebbero investendo in Italia, pur detraendo quanto già pagato oltre confine, somme che quel Paese storna allo Stato italiano.