Friuli: cordoglio per la prematura scomparsa di Franco Marchetta

Lo scrittore Franco Marchetta, 62 anni, è morto questa mattina, poco dopo le 5. Da alcuni settimane le sue condizioni di salute si erano aggravate.

Architetto, Marchetta si era avvicinato alla scrittura agli inizi degli anni 70 iniziando a interessarsi di fumetti, passando poi dal palcoscenico come interprete, e firmando il primo libro nel 1989. Da allora le opere si sono succedute fino a Camaleonti e porcospini, romanzo in italiano del 2013 in cui il mito del friulano saldo, onesto e lavoratore viene demolito con i protagonisti del libro che scendono a patti con la propria coscienza per opportunismo, convenienza o viltà. Con opere in lingua friulana aveva vinto per tre volte il Premio San Simon.

La salma di Franco Marchetta verrà esposta nelle celle mortuarie dell’ospedale di Udine venerdi, e alle 10.30 – nel cimitero del capoluogo friulano – è prevista una cerimonia civile che anticiperà la cremazione.

Ecco il ricordo di Paolo Medeossi

Franco Marchetta non urlava, non si agitava. Usava le armi di una colta e raffinata scrittura, sia che la esercitasse in friulano (per un suo sperimentale rinnovamento) o in italiano. E anche le armi sottili di una riflessione che non disdegnava il tocco poetico. Come avvenne nell’ultima apparizione pubblica, nel teatro di Sedegliano, lo scorso febbraio, in occasione di una straordinaria serata dedicata a Turoldo. Franco stava male, poteva sembrare un problema legato alla stagione. Arrivò tardi e salì sul palco pallido per leggere quello che aveva scritto su un quadernetto: il ricordo di lui ragazzo, nella scuola diretta a Codroipo dal preside suo padre, mentre guardava per la prima volta il film “Gli ultimi”. Da lì probabilmente, dal rifiuto del dolore e dell’angoscia di quelle scene, incomprensibili agli occhi di un adolescente che scopriva la vita, partì il suo ragionamento su questa terra, sul popolo friulano, sulle trasformazioni, sui tradimenti sociali, culturali, politici, economici. Un pensiero che lo accompagnato sempre, nella professione di architetto e nell’attività di scrittore cominciata tardi, come rivelò lui stesso, aggirandola a lungo prima di abbracciarla.

Nel momento in cui lo fa si sente subito l’appartenenza, come uomo e intellettuale, a quello specifico territorio che è il Medio Friuli, a cavallo del Tagliamento e con le propaggini verso il Casarsese. Per questo motivo, giustamente Umberto Alberini ha detto che Marchetta ha voluto riprendere il discorso di Pasolini e di Turoldo là dove lo aveva interrotto Elio Bartolini con la lucida invettiva contro il “Friuli dei coltivatori diretti”, che stava perdendo la sua anima, i punti di riferimento, la capacità di resistere ai “camaleonti e porcospini”, quelli evocati nel titolo dell’ultimo profetico romanzo di Franco, pubblicato mesi fa da Kappa Vu e attorno al quale, con suo rammarico, non si è però sviluppato il dibattito che lui si attendeva. Un dibattito che, senza far sconti a nessuno (politici, imprenditori, giornalisti, artisti…), si interrogasse sul pantano del consociativismo e del rispetto delle gerarchie sociali che soffoca il nostro mondo fino ad annichilirlo.

“La lingua – dice a un certo punto uno dei personaggi del libro – è l’unica cosa rimasta, l’hanno reinventata per salvare il salvabile. Anche la lingua ricostruita e prontamente demolita da una cultura provinciale. Ma è tutto inutile: prima abbiamo distrutto il mondo contadino con la pressione insostenibile del mondo moderno, ora cerchiamo di convincerlo che esiste ancora”.

Marchetta fermava il tempo del ragionamento e dunque della trama narrata nel romanzo al 2005, perché sosteneva che in seguito tutto era cambiato, anche in Friuli, con l’avvento dei social network e pertanto di nuovi modi per comunicare, diffondere consapevolezze e conoscenza, coinvolgere i giovani, ripartire in qualche modo, così da superare la crisi e scrollarsi di dosso torpori e orrori. E per quanto gli competeva aveva lanciato una proposta, che aveva agitato un po’ le acque, creando un’Academiuta virtuale sulle orme di quella mitica che Pasolini aveva messo in piedi a Versuta. Idea accolta fra scetticismi e sorrisetti, ma che aveva un suo fascino e una efficacia evocativa, in quanto chiedeva a una nuova generazione di writers di mettersi in gioco sul web, di riconoscersi e di agire, per mostrare la vitalità underground del friulano, lingua che Franco ha padroneggiato con maestria in senso anche sperimentale, tanto da vincere per tre volte il premio San Simon a Codroipo, e cioè nel 1997 con il romanzo “Madelene”, nel 2011 con “Cronichis di Saveri Sengar” e nel 2012 con “U-”, libro da cui sul sito dello scrittore prese poi avvio “L’infinit di U-”, l’operazione di fan-fiction riservata ai talenti inediti per colmare l’endemico vuoto di letteratura in friulano, fonte di polemiche ricorrenti.

Nato nel 1952, dopo i magici anni vissuti allo Iuav a Venezia e diventato architetto, Marchetta inizialmente si è dedicato alla professione, ai temi della pianificazione e in campo più artistico al fumetto o al teatro recitando pure per un testo del giovane Paolo Patui agli esordi. La scrittura arrivò nel 1993 con i racconti de “Il tempo morbido”(Campanotto), vincitore del premio Carnia, nella cui giuria c’era Bartolini, con cui cominciò un rapporto di amicizia e stima. Tra le opere in friulano va citato “Gilez” pubblicato da Forum nel 2002, libro di raffinata ipertestualità con richiami a Borges, Proust, Poe. E ancora ci furono una “Storia brevissima” pubblicata da Gaspari e dedicata alla sua Codroipo e testi teatrali come “Il sogno della falena” per il Css.

Il tema costante, nella riflessione di Marchetta, è sintetizzato nel libro del 2005 “Il sium di chescj furlans in fughe” (Forum), tratto da una serata ai Colonos di Villacaccia in cui – affermò Marchetta, organizzatore assieme a Elvio Scruzzi – 130 persone sono accorse al capezzale della cultura friulana. Argomento ripreso in una recensione teatrale del 2013 in cui, parlando di uno spettacolo visto al Giovanni da Udine, Marchetta parlò di “un assassinio nei confronti di una vittima inerme, e cioè il teatro friulano”. E finiva così: “Sono convinto che sia il meccanismo consociativo e chiuso a costringere anche le forze migliori del nostro teatro a piegarsi al sistema adottato, sorretto spesso da una critica compiacente e assolutoria. Per favore, questo è un accorato grido di dolore, smettiamola di prenderci in giro”. Parole da rileggere ora che Franco non c’è più. Il grido racconta anche quello che è stato il suo sogno. Il sogno di una persona gentile e colta, che non voleva vivere in un nido di camaleonti e porcospini. Per questo, diceva, solo la nuova meglio gioventù ci salverà per battere complicità, oblio, indifferenza. “Occorre – scriveva nell’ultimo romanzo – la disperata vitalità del poeta per infilare il coltello nel ventre molle di questa provincia del silenzio”.