Friuli: democrazia diretta e l’autogoverno popolare contro gli ottusi campioni della crescita continua

di DELIO STRAZZABOSCHI

Si è accettato un modello di sviluppo “paranoico”, basato sulla crescita continua, nel quale consumi sempre in aumento spingono la produzione indipendentemente dai limiti del pianeta e della natura. Ma se le persone non comprano più, le imprese producono di meno e licenziano anche lavoratori, perciò vendite e occupazione diminuiscono ulteriormente in un collasso totale e terrificante. Certo, ancora per un po’ i consumi cresceranno nei pochissimi posti nei quali non hanno ancora saturato ogni bisogno, ancorché falso. Poi, irrimediabilmente, sarà finita. Quel giorno non è lontano, anche perché il sistema delle banche e della finanza, intrinseco all’apparato industriale e nient’affatto sua degenerazione, ci crollerà rovinosamente addosso ancor prima dell’economia reale. Mai tante crisi contemporaneamente; ma se aspettiamo sarà troppo tardi e se ci arrangiamo da soli sarà troppo poco. Le voci che oggi gridano nel deserto però non vogliono trovarsi domani a condividere impotenti lo stesso beffardo destino degli ottusi campioni della crescita continua. Basterebbe solamente ricordare che dopo la caduta dell’Impero Romano, le città si svuotarono (Roma passò da due milioni di abitanti a 35mila) e tutti andarono a vivere nei villaggi, per poter sopravvivere grazie alla coltivazione della terra, peraltro di proprietà esclusiva dei latifondisti (nobili e clero). Nacque così l’organizzazione feudale, economicamente autosufficiente grazie a produzioni e consumi locali. Oggi s’ipotizza che, dopo il crollo del mondo industriale e “civilizzato”, gli abitanti delle città-panico potrebbero iniziare col saccheggiare i supermercati e subito dopo riversarsi nelle campagne alla disperata ricerca di cibo. Non riuscendo più a sopravvivere, userebbero il loro ultimo denaro per comprare armi con cui combattere i detentori dell’acqua, dei campi coltivabili, dei prati e dei boschi. Senza Terra non c’è speranza. Primo compito diventa quindi difendere il territorio dalla predazione di case e terreni privati da parte di ricchi cittadini, e dall’insensato oblio delle terre comuni da parte degli enti pubblici. Le proprietà collettive (amministrazioni frazionali e comunioni familiari) riprendano ovunque la gestione delle terre civiche, sia nei 46 Comuni nei quali ne è stata accertata ufficialmente l’esistenza, sia negli altri 93 che dal lontanissimo 1927 attendono la definizione, ancora oggi possibile, dei diritti collettivi. Proprio come in quel passato troppo presto dimenticato, solo la gestione associata della terra e delle risorse naturali saprà garantire la sopravvivenza delle comunità, grazie all’interscambio dei propri prodotti. Mezzi di sussistenza alimentare ed energetica per tutti permetteranno l’autoproduzione e l’autoconsumo degli altri beni: invece di comprare troppe merci di basso prezzo e nessun valore (prodotte in fondo al mondo, sfruttando uomini, donne e bambini), se ne acquisteranno di meno ma realizzate dal sarto e dal calzolaio della vallata. Una nuova consapevolezza traghetterà le persone dalla coscienza di classe (della condizione di sfruttamento del lavoro e della vita) alla coscienza di territorio (delle caratteristiche identitarie e patrimoniali del luogo). Preclusa ogni velleità a politici inetti, burocrati improduttivi, evasori fiscali e parassiti per genere, abolite proprietà e utilizzazione privata della terra e delle risorse naturali, l’emergenza contingente sarà vinta. L’azione dei soggetti “rivoluzionari” ovviamente ricreerà così le condizioni fondanti del territorio come spazio vivo e concreto da organizzare, attraverso la democrazia diretta e l’autogoverno popolare, per un nuovo futuro di lunga durata. 

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