Friuli: il 3 aprile la festa della Patria del Friuli, Aldo Rossi ospite a Flaibano

 

Il 03 aprile 2012 alle ore 20,30  sono stato invitato presso il Centro Sociale di Flaibano dalla Pro Loco che organizza una serata di musica, immegini e riflessioni intorno alla Lingua Friulana insieme al sottoscritto ed al friulanista Angelo Floramo.

Per quanto riguarda il significato della festa vi lascio a queste belle riflessioni di Pier Carlo Begotti

La valorizzazione di una identità porta alla creazione di miti d’origine, che vengono vissuti nel presente come se fossero stati percepiti sempre cosí, dilatando nel passato fenomeni ed esperienze attuali. Cosí è, in Friuli, per la Fieste de Patrie del 3 di aprile, che a partire dal 1977 (anno della sua prima celebrazione) ha conosciuto un crescendo di valori e di significati, fino a essere esaltata oggi come la data di nascita nella nostra regione della democrazia, del parlamentarismo, di una individualità e di una coscienza nazionali, culturali, linguistiche e di tante altre virtú. Naturalmente tutti sono liberi di pensarla come credono e di proporre alla popolazione vecchi e nuovi modelli e ideali, però la realtà storica deve essere in ogni caso salvaguardata. Di sicuro il 3 aprile fu (ed è, come valore simbolico) importante  ma piú per la sua essenza istituzionale che per il resto. Per esempio, il Friuli non venne al mondo in quell’occasione, poiché c’era già: se ne parlava a partire dalla matura età longobarda (secolo VIII) come di una realtà ben specifica con il proprio nome, che designava lo spazio compreso tra Livenza, marine altoadriatiche, area del Timavo e del Carso, Alpi; anche la sua lingua nel 1077 era sostanzialmente formata e avviata a distinguersi in maniera chiara rispetto agli esiti neolatini confinanti. Tuttavia già allora il territorio era ben lungi dall’essere caratterizzato da una unica cultura e presenza etnica: sappiamo che vi erano comunità slave piuttosto consistenti, tanto da dare una duratura impronta a intere vallate, oltre che a lasciare ampie tracce in tante località delle pianure. Non mancava la componente germanica, che tra XII e XIII secolo sarebbe stata rinforzata. E pure il Patriarcato di Aquileia fu fin dall’inizio multietnico e multiculturale. Tali furono la diocesi e la provincia ecclesiastica che portano il nome di Aquileia, e tale fu l’istituzione temporale che gradualmente si formò a partire dal IX-X secolo: la trasmissione di poteri effettuata dall’imperatore Enrico IV a Sigheardo il 3 aprile 1077 (e completata nel settembre successivo) riguardava non solo il Friuli, ma parti delle regioni circostanti, tra gli attuali Stati austriaco, sloveno e croato. Certamente questo organismo non fu mai uno «Stato democratico», come lo si intende dall’età delle rivoluzioni americana e francese a oggi. Dall’inizio del XII secolo, o forse da poco prima, ci fu effettivamente un Parlamento della Patria del Friuli, ma i suoi membri non venivano scelti da un corpo elettorale e men che meno popolare: essi erano rappresentanti di famiglie castellane, di comunità di sudditi patriarcali, di enti ecclesiastici maggiori, tutte entità che garantivano un contingente militare al patriarca in caso di guerra e che esercitavano un potere sul resto della popolazione, assai spesso con giurisdizione, vale a dire con la facoltà di presiedere un tribunale e di comminare condanne pecuniarie, corporali, infamanti, anche fino alla pena di morte. La classe dirigente, poi, era solo in parte friulana, poiché fu in un primo momento fortemente caratterizzata da una consistente presenza germanica, con successiva forte penetrazione di elementi toscani, veneti, lombardi, emiliani. La maggior parte dei Friulani (contadini, artigiani, salariati, commercianti, basso clero) era esclusa da ogni partecipazione al potere e, semmai, gestiva i beni comunali e le faccende del villaggio attraverso le vicinie; a capo del villaggio, del resto, c’era un funzionario del patriarca, del vescovo, del castellano o delle altre signorie. Non dobbiamo, in conclusione, cercare ragioni improprie nella ricorrenza del 3 aprile, che dev’essere motivo di riflessione seria sulla storia, sulla sua eredità nel presente, sui problemi dell’oggi visti in una prospettiva di ampio respiro che comprenda le strutture di fondo lasciateci dal passato, avendo bene in mente che il Friuli del 3 aprile 1077 era molto diverso dal Friuli del 3 aprile 2011: non c’erano rivendicazioni etniche e linguistiche e non c’era rivalità con Trieste, per esempio, né Enrico IV o Sigheardo avrebbero mai pensato di dar vita a uno Stato nazionale, democratico e parlamentare. Ricordo infine che la Filologica friulana si appresta a pubblicare entro l’anno una nuova Storia del Friuli dalle origini ai nostri giorni. L’incarico è stato affidato a me che ho già steso un’appendice sugli anni del dopoguerra per l’ormai classico manuale del Menis. Rispetto a precedenti opere, questa Storia si propone di partire dalle prime presenze umane per giungere alla società attuale, inserendo quindi quei secoli che mancano (o che sono trattati molto velocemente) nei libri analoghi di Pio Paschini e dello stesso Menis. Oltre a offrire un panorama completo della storia friulana, il libro recepirà le acquisizioni della ricerca piú recente, sottoposte a critica, riviste e approfondite in numerosi aspetti, fin qui ritenuti punti fermi della vulgata storiografica, dall’effettiva natura delle scorrerie ungare alle presenze slave, dal significato della dominazione veneziana all’importanza dell’età napoleonica, dalla rivolta contadina del 1511 al ruolo dei Friulani nel Risorgimento italiano, dalla romanizzazione al ruolo delle popolazioni protostoriche, Celti e Paleoveneti.