Friuli: il pensiero di Barazzutti sui referendum per l’abolizione delle leggi per la privatizzazione dell’acqua

di Franceschino Barazzutti
già sindaco di Cavazzo Carnico

E’ in corso la campagna per la raccolta delle sottoscrizioni dei tre referendum nazionali mirati all’abolizione delle leggi in materia di servizi idrici, le quali prevedono, tra l’altro, l’affidamento di tali servizi mediante gara d’appalto aperta, l’ingresso via via crescente dei privati nella proprietà delle società di gestione, la remunerazione del capitale dagli stessi investito, la gestione tecnica e operativa dei servizi affidata agli azionisti privati Il tutto improntato a una filosofia liberistica, di mercato, che considera negativamente ciò che è “pubblico” mentre ritiene il “privato” risolutore di ogni problema. Ciò non strettamente congiunto con la potenzialità di business che il “privato” offre, appunto, ai privati. All’affermazione dei referendari che le leggi, di cui chiedono l’abolizione, privatizzano l’acqua, i sostenitori di tali leggi sostengono che l’acqua resterà pubblica. Vediamo come stiano effettivamente le cose, tenendo sempre ben presente che stiamo considerando non una cosa o merce qualsiasi, ma un bene particolare, insostituibile, indispensabile per la vita non soltanto umana, tanto particolare e vitale da costituire un “diritto di ogni essere umano”. Stiamo parlando di “sorella acqua” per dirla con San Francesco d’Assisi. Ebbene, l’acqua è sempre pubblica, a meno che non nasca e si esaurisca in un terreno privato. Giuridicamente è di proprietà pubblica e tale resta. Ma la proprietà è un elemento che non basta a definire lo status dell’acqua se non si considera anche il suo possesso. Infatti il possesso significa l’effettiva disponibilità. E chi dispone dell’acqua… dispone, appunto! La proprietà dell’acqua è veramente pubblica quando pubblico è anche il suo possesso. La scissione del possesso dalla proprietà pubblica apre scenari che portano il possesso (e il possessore) ad avere il sopravvento sulla proprietà (l’ente pubblico). Infatti, la forma “consorzio” di enti pubblici di gestione del servizio idrico mantiene completamente la natura pubblica dell’acqua unificando proprietà e possesso nel soggetto pubblico “consorzio” di Comuni o enti pubblici che, si badi, è retto dal diritto pubblico e opera secondo il diritto amministrativo. La trasformazione dei consorzi in società per azioni, anche se azionisti principali ne sono gli enti pubblici, rompe l’unitarietà proprietà pubblica – possesso pubblico poiché la società per azioni al contrario è governata dal diritto privato (societario). Le leggi, che si vogliono abolire con i referendum, scindono dalla proprietà pubblica il possesso dell’acqua per affidarlo a privati che ne dispongono, forti per la debolezza dell’ente pubblico, per essere azionisti di maggioranza della stessa società-gestrice risultata vincitrice della gara d’appalto, per avere concretamente le mani sulle reti e sugli impianti, per disporre di tutti i dati tecnici e il know-how relativi agli stessi. Di fronte a un potere del gestore così reale, concreto e completo sulle reti e sugli impianti è capovolto il rapporto tra proprietario pubblico dell’acqua (e di reti e impianti) e il possessore-gestore per cui il primo finisce in posizione di dipendenza dal secondo. Se poi consideriamo anche l’assetto azionario, che vede il gestore tecnico azionista di maggioranza della società di gestione, l’ente pubblico finisce relegato a un ruolo di comparsa e la proprietà pubblica dell’acqua svuotata di ogni contenuto. In breve, del “pubblico” rimane solo la forma, ma il contenuto è privato di fatto. Altrochè indirizzo e controllo delle istituzioni pubbliche proprietarie sul gestore privato come vanno dicendo gli avversari dei referendum e con essi le società per azioni alla Carniacque! La realtà richiama il ravanello: rosso fuori, ma bianco dentro. Allo stesso modo il “pubblico” dell’acqua sta solo fuori, ma dentro sta il “privato”. La consegna della gestione del servizio idrico, e con esso dei cittadini-utenti, alla gestione dei privati è il risultato delle pressioni sui partiti politici dei vari gruppi di affari a essi legati che mirano ad acquisire al proprio business un settore che acconsente loro di accumulare profitti senza rischi d’impresa e in condizioni monopolistiche una volta conquistato – si sa come – l’appalto. Altro che “libero mercato”! Altro che “concorrenza”! A pagare sono i cittadini. Ecco perché i referendum vanno sostenuti con la sottoscrizione e poi con il voto. Ma non basta: la gestione del servizio idrico deve ritornare ai Comuni in modo particolare a quelli di montagna dove non ha senso la presenza di Carniacque spa. Nella seduta della Camera dei deputati di sabato 29 novembre 1902 si discuteva il “Disegno di legge relativo alla municipalizzazione dei servizi pubblici”. Il ministro dell’Interno, Giolitti, così si esprimeva per il Governo sui piccoli Comuni: «Si è parlato dei piccoli Comuni dicendo: come faranno i piccoli Comuni per questi loro servizi?»… «Nei piccoli Comuni il contribuente può controllare direttamente se si amministra bene o male; è molto più facile scoprire una cattiva amministrazione in un piccolo comunello che una cattiva amministrazione in una grande città»… «Certo è, a ogni modo, che il Comune si prefigge l’interesse della generalità, mentre lo speculatore e la Società anonima (leggi: per azioni, spa) si propongono l’interesse degli azionisti, e io credo che noi dobbiamo preferire, per quanto è possibile, che amministri colui che ha per fine l’interesse della generalità degli abitanti». Così nel 1902 il ministro Giolitti, che era tutt’altro che un rivoluzionario. E ora, nel 2010? Mala tempora currunt!<br />