Friuli: l’allarme dell’associazione di settore, gli austriaci ora comprano i boschi della Carnia

Trentino - Legname da opera. - 2011 - Giusepp Michelon

di Tanja Ariis

Il settore del legno potrebbe rilanciare l’economia dell’Alto Friuli, ma mancano le condizioni per creare la filiera e intanto se ne avvantaggiano le imprese boschive austriache che hanno cominciato ad acquistare molti terreni boschivi (e agricoli) anche in Carnia. A lanciare l’allarme sul punto è l’Aibo (Associazione imprenditori boschivi) del Fvg. In un caso un’impresa d’oltreconfine ha già acquisito quasi 700 ettari. Quello austriaco è un approccio al bosco molto diverso dal nostro, con procedure molto automatizzate, tagli più spinti (a raso anziché prelevando solo alcune piante). Il sistema secondo l’Aibo impoverirebbe i terreni, rendendo le piante più esposte a varie malattie. Inoltre la poca manodopera impiegata è comunque austriaca. Così il fenomeno ha tutto l’aspetto di una delocalizzazione all’incontrario. E il paradosso è che la nostra regione ha un consumo annuo di legname

 

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4 Risposte a “Friuli: l’allarme dell’associazione di settore, gli austriaci ora comprano i boschi della Carnia”

  1. aggiornamento del 28/03/2012

    di Domenico Pecile
    Era la metà degli anni Cinquanta quando il Comune di Ligosullo riuscì a costruire l’asilo con i proventi della vendita di un lotto di legname, circa 1.500 cubi. Sembra preistoria: oggi quel quantitativo ha un corrispettivo in denaro pari alla paga annuale di un dipendente. Il bosco era linfa, sangue, lavoro, denaro. Futuro. Il diboscamento avveniva al massimo ogni 15 anni. Agli alberi non era concesso di invecchiare troppo: il rischio era che si potessero deteriorare all’interno del tronco. Quando venivano abbattuti non dovevano ferire quelli “risparmiati”, perchè ne avrebbero compromesso l’integrità e lo sviluppo. I controlli erano rigorosi, quasi asfissianti. Nessuno sgarrava. Il bosco era più che un simbolo e ogni eventuale sfregio avrebbe avuto il valore di un gesto iconoclasta. Oggi a Ligosullo non ci sono più boscaioli. E quei pochi anziani che vivono ancora in paese assistono impotenti al “sacco” austriaco, le cui imprese hanno preso letteralmente d’assalto i boschi della Carnia. Hanno dato l’addio ai Paesi dell’Est che ora gestiscono il business-legname in proprio e puntano sull’Italia, e il Friuli in particolare, anche perchè gli sgravi fiscali e il prezzo molto più basso del gasolio consente loro offerte improponibili per i nostri imprenditori del settore. Così, arrivano, acquistano, abbattono, desertificano, portano il legname in Austria e spesso lo rivendono all’Italia anche sotto forma di pellet. Di più: il tanto disprezzato abete rosso friulano non appena varca il confine diventa un legno pregiato. Miracoli del mercato! Gli austriaci comprano i boschi soprattutto dai privati, ma tentano anche i Comuni offrendo qualche euro in più a cubo. Gli enti locali, alle prese con l’incipiente asfissia da tagli, cercano di resistere; l’Aibo (Associazione imprenditori boschivi) lancia l’allarme e chiede interventi; il Corpo forestale, che ha subito un draconiano ridimensionamento del personale, non riesce più a garantire i controlli e gli sono stati sottratti compiti importanti. E la Regione pensa ad altro, con buona pace per chi per anni si è fidato delle tante parole spese a favore del rilancio della montagna. Capita allora che gli austriaci riescano pure a eludere le regole imposte ai Comuni alle prese con i Piani economici boschivi, redatti ogni dieci anni e che definiscono il piano annuale di abbattimento degli alberi all’interno delle cosiddette particelle. Ogni Comune può abbattere annualmente dai 1000 ai 1500 cubi di tronchi. Bene, gli austriaci tagliano e basta: non pensano alla ricrescita naturale del bosco perché non lasciano piante grandi per garantire la riproduzione e, soprattutto, non hanno vincoli di quantità. Già, il danno e la beffa. «Sì – ammette sconsolato il sindaco di Ligosullo, Giorgio Morocutti – davvero assistiamo impotenti a questo scempio». Nei primi anni del ’900 il “Consorzio Malghe di Ligosullo”, che gestiva circa 700 ettari e sei malghe, dava lavoro pressoché a tutta la comunità. Il Consorzio si sciolse negli anni ’90. Le Generali probabilmente fiutarono l’affare, acquistarono quei terreni ricchi di boschi per circa 2 miliardi prefigurando uno sviluppo dell’intera zona. Ma non se ne fece nulla perchè nel frattempo subentrarono altri fattori come l’introduzione della Zps (Zona a protezione speciale) con tutti i vincoli e della Sic (Siti di interesse comunitaria). Così è cominciata la vendita, anzi, la svendita agli austriaci. Il sindaco conferma che ci sarebbe in corso la trattativa per la vendita di quei 700 ettari (si vocifera di un affare di circa 3 milioni di euro). E le cose non vanno meglio negli altri comuni storicamente boschivi come Ampezzo, Forni Avoltri, Paularo, Treppo Carnico che pure potrebbero avere introiti fino a 100 mila euro l’anno derivanti dal legname. Un paradosso: mentre i boschi si stanno quasi mangiando i paesi e molte zone sono ormai irragiungibili, gli austriaci fanno bisboccia. Ma evidentemente – come sottolinea il presidente regionale dell’Aibo, Mirco Cigliani – non esiste la percezione tra i privati, gli enti pubblici e i politici di quanto il legno sia una risorsa che potrebbe rilanciare l’economia locale con risvolti occupazionali anche importanti anche tra i giovani. Ma servirebbe fare squadra, crederci. «Certamente – ribatte il sindaco di Ligosullo – qualche cosa bisogna fare e anche subito. Ma la Regione che intenzione ha? Vuole farci scippare il territorio un po’ alla volta lasciando che gli austriaci facciano quello che vogliono? Ha qualche progetto in merito? Davvero, non si rende conto che oltre a “regalare” boschi, i Comuni sono anche costretti poi a sistemare le strade messe a dura prova dai mezzi austriaci»? Gli austriaci non scherzano. Arrivano con mezzi tecnologicamente all’avanduardia. Quelli più moderni li chiamano “processori”: abbattono la pianta, spogliano il tronco e lasciano il terreno liscio come un campo da biliardo. Un’operazione che rischia di compromettere l’ecosistema e che potrebbe provocare gravi dissesti idrogeologici. In realtà, prediligono boschi facilmente raggiungibili, come ad esempio quelli di Plan di cjase nel Comune di Treppo Carnico o del monte Avedrugno. Ma piangere sul latte versato non ha senso. Vero, la Regione latita o fa finta di non sapere. Ma si sa che la politica si muove in base ai voti e la Carnia abbonda sì di boschi, ma difetta di elettori. Ed è vero anche che gli austriaci sono arrivati in realtà da diversi anni e che soprattutto hanno goduto di alcune, interessate “complicità” locali. Per affrontare questi problemi era nata la cooperativa Legno servizi, istituita – si legge nella home page del sito – «dall’esigenza di sostenere e rafforzare i soggetti che operano nelle filiere del legno, per giungere alla valorizzazione delle risorse, presenti in abbondanza nella nostra regione». Il presidente dell’Aibo conferma che alcuni diboscamenti sono stati affidati di recente agli austriaci. «Il presidente di Legno servizi – aggiunge Cigliani – ci ha assicurato che non accadrà più». Ma è troppo poco per non dichiarare la resa

  2. Aggiornamento del 29/03/2012

    di Gino Grillo

    Boschi friulani acqusitati dagli austriaci? I sindaci chiedono alla Regione e ai privati d’intervenire per difendere le nostre terre. E per ora dicono di essere in grado di difendersi dall’assalto. Paluzza , ad esempio, ricava dal taglio programmato dei propri boschi 80–90 mila euro all’anno. «Nessuno ci ha chiesto di acquistare i nostri boschi – afferma il vice sindaco Giancarlo Magnani – Battiamo delle aste per il taglio di 2.500 metri cubi di legname all’anno che vengono indirizzate a ditte locali». Il Comune non vuole alienare proprietà pubbliche. «Parte del nostro patrimonio boschivo – chiude Magnani – viene gestito dal Consorzio Boschi Carnici». Dopo l’acquisizione dei boschi di Malga Ramaz e di Dierico da parte della Regione, Paularo presenta un piano di utilizzo e di ricrescita dei boschi che frutta dai 60 ai 100 mila euro all’anno. «Tagliamo mediamente 6 mila metri cubi di legname all’anno». Non risultano richieste di acquisito di boschi da parte di operatori austriaci, nemmeno ai privati che possiedono una buona vastità di boschi, ma su terreni troppo parcellizzati per essere appetibili. «I nostri boschi ci garantiscono una rendita annuale importante, la cui gestione a mezzo guardia silvo pastorale comunale, non ha mai fatto mancare negli anni l’entrata di decine di migliaia di euro nelle casse comunali». Faleschini auspica un maggior interesse per il bosco da parte delle ditte locali e della Regione che dovrebbe, a suo avviso, intensificare una azione politica sul patrimonio boschivo regionale. Paolo Cecconi, vice sindaco di Forni Avoltri ammette contatti con un imprenditore austriaco interessato ad acquisire i boschi fornesi. «Non se ne è fatto nulla, abbiamo deciso di gestire in proprio il nostro legname che ci frutta dagli 80 ai 100 mila euro annui». Il Comune adotta un piano di taglio che prevede l’abbattimento di 5 mila metri cubi di legname annui. I privati debbono attenersi ai regolamenti forestali che ora permettono di lasciare i rami tagliati sul letto di caduta dell’albero. Sul territorio opera in boschi di proprietà il Consorzio dei Boschi Carnici, del quale il Comune è socio. A Prato Carnico un operatore austriaco, anni addietro, ha acquisito un importante lotto, circa 700 ettari, a Pian di Cjase da un ente religioso. «L’imprenditore – ammette il sindaco Omar Dagaro – effettua tagli programmati di sfoltimento, dopo di che si preoccupa di riseminare nelle aree tagliate». Non quindi tagli discriminati, anche se pare ad inizio attività siano state praticate sanzioni amministrative assai pesanti per le allora metodologie di taglio. «Attualmente la zona viene visitata – prosegue il primo cittadino – quale esempio di taglio ottimale dei boschi». Il Comune della Val Pesarina non è proprietario di grandi lotti boschivi. «Siamo soci – prosegue Dagaro – di due consorzi che trattano i boschi: i Boschi Carnici che possiede una grande estensione di territorio e il Vizza Collina attualmente non operativo, costituito con i Comuni limitrofi al nostro». Gli appezzamenti dei privati non sarebbero appetibili in quanto non estesi e non sempre di facile accesso.

  3. aggiornamento del 31/03/2012

    t.a. dal MV di oggi

    «Si potenzino le piste forestali e si mettano i paletti giusti agli austriaci, così si risolve il problema». A dire la sua sulla querelle scatenatasi in questi giorni per la gestione dei boschi carnici da parte delle aziende boschive locali o da quelle austriache è Albino Toson, vicesindaco di Socchieve, Comune che come numero di ettari di bosco certificati Pefc è quello in Carnia che ne ha di più: 3 mila 178 ettari, su quasi 7 mila nel territorio comunale e 1.600 ettari di proprietà in altre zone. Toson spiega: «Non sono né favorevole né contrario all’ingresso delle imprese boschive austriache sul nostro territorio. Spetta a noi valutare se fanno danno o meno e porre precisi paletti. Anche noi, come Comune, negli ultimi lotti messi all’asta avevamo invitato accanto a 15 imprese locali anche una austriaca, ma avevamo espressamente vietato l’utilizzo nei nostri boschi delle macchine forwarder e harvaster. Gli austriaci non si sono presentati. Quelle macchine hanno dei pesi pazzeschi che creano solchi in profondità nel terreno e rischiano di creare ruscellamenti pericolosi. Su certe pendenze non vanno usate. Va anche detto che la forestale come la Protezione civile dovrebbero intervenire in situazioni di rischio di un danno ambientale. Noi tagliamo dai 3 mila ai 5 mila mc l’anno e penso che nessun Comune tagli tanto in Carnia. Noi non ci avvaliamo, e con orgoglio, di Legno Servizi, non possiamo permetterci costi aggiuntivi: seguo io – prosegue Toson – con il guardiaboschi i nostri boschi. Gli ultimi lotti messi all’asta alla fine sono stati assegnati ad una ditta di Socchieve. Era l’unica sulle 15 locali invitate che si era presentata, per cui non si lamentino tanto le imprese della zona. Da noi nel 2012 sono già stati martellati 1500 mc di resinoso e 3 mila mc di faggeta». Toson concorda con chi dice che bisogna dotare i nostri boschi di piste forestali, potenziarle: «È la “conditio sine qua non” – dice – per restare sul mercato. Nel comprensorio a ovest di Socchieve potremo esboscare 10 mila mc di faggio e non lo possiamo fare perché non abbiamo le piste. Non si può lavorare ancora con la teleferica, perché si mangia il bosco 3 volte. Noi sul contratto dei 3 mila mc metteremo in conto la pista forestale: in conto affitto del legname l’impresa ci fa un tratto di pista forestale. Non sono d’accordo con chi dice di affidare per più anni la gestione a una ditta locale, perché accontenterei solo quella».

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