Friuli: l’italiano è lingua sempre maschilista


di SILVANA FACHIN SCHIAVI

Questa vuole essere anche una lettera aperta alla Preside della Facoltà di Economia dell'Università di Udine, professoressa Marina Brollo. Domenica 13 marzo ho letto con interesse sul Messaggero Veneto un suo intervento dal titolo "Quote rosa, finalmente" sulla legge che prevede le quote di donne nei vertici delle imprese italiane. Non è tuttavia sul problema pur importante delle quote che intendo soffermarmi, ma sul linguaggio sessista, cioè portatore della dominante ideologia maschile. L'incipit dell'articolo recita: Sono diventata «"la" preside di una facoltà dell'ateneo udinese…" con l'articolo femminile virgolettato e chiude con ordinario di Diritto del Lavoro che riproduce la qualifica che si trova sul sito dell'Università: «Professore ordinario di Diritto del Lavoro». Voglio interpretare l'uso delle virgolette come un espediente grafico volto a richiamare l'attenzione sull'appartenenza al genere femminile del ruolo. La lingua italiana è ancora una lingua "maschile", specchio di chi ha avuto in mano gli strumenti che codificano la lingua attraverso le definizioni e gli esempi: i lessicografi e lessicologi da Niccolò Tommaseo ai giorni nostri sino agli usi della lingua nei mezzi di comunicazione di massa. È sufficiente ascoltare molti giornalisti e conduttori di programmi radiotelevisivi, leggere i quotidiani, le riviste eccetera. Per le donne che solo in anni recenti hanno cominciato a svolgere certe professioni, la denominazione resta di genere maschile: avvocato, ingegnere, architetto, chirurgo eccetera. Le corrispondenti voci femminili – avvocata, ingegnera, architetta, chirurga ecc. – suscitano un senso di rifiuto perché considerate esteticamente brutte. Si adotta una categoria di giudizio estetico, non grammaticale. Talvolta, reagendo alle mie sistematiche osservazioni, mi sono sentita rispondere che «la carica è di genere neutro», aggiungendo al sistema della lingua italiana un genere che le è estraneo! Lo stesso avviene per molti ruoli istituzionali: sindaco/sindaca; deputato/deputata, ministro/ministra ecc. Anche molte donne rifiutano la nuova e più appropriata terminologia anche per timore della facile ironia che ancora usata da molti parlanti. I giochi di parole si sprecano: la ministra riscaldata, l'architetta e amenità simili. Nella "normalità" entrano invece direttrice di scuola primaria, ma non di dipartimento, maestra di scuola, ma non d'orchestra, segretaria d'azienda ma non di Stato (cfr. Hillary Clinton) o di un grande sindacato (cfr. Camusso), professoressa anche della scuola superiore, ma non di prima fascia all'Università e via elencando. La terminologia è accettata nei ruoli subalterni, ma appena una donna riesce a ricoprire ruoli di vertice si maschilizza! Mi ha fatto perciò molto piacere, in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico, che la professoressa Fiorella Kostoris, ordinaria dell'Università La Sapienza di Roma e componente del direttivo dell'Anvur (Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca), aprire il suo intervento con «Magnifica Rettrice» e punteggiare il suo discorso alternando studentesse/studenti, assegniste/assegnisti/ ricercatrici/ricercatori.