Friuli: minoranze e autonomia la via friulana al socialismo

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di GIANNI ORTIS.

“Il socialismo friulano 1945-1994, dalla Liberazione alla diaspora” è il titolo del libro che il professor Tiziano Sguazzero ha appena pubblicato con l’Istituto friulano per la storia del movimento di Liberazione. Cosí ne scrive l’avvocato Gianni Ortis nella prefazione. Questo libro non sarebbe stato possibile senza il recupero, la catalogazione e la informatizzazione dell’Archivio della Federazione provinciale di Udine del Partito socialista italiano, che l’Istituto friulano per la storia del movimento di Liberazione ha letteralmente salvato dal macero. Ma è proprio la cura con cui il materiale di archivio era stato raccolto, catalogato e conservato in un arco di tempo che va dal 1952 al 1994, ad apparire straordinaria. In duecentocinquanta faldoni, tremilaseicentotredici fascicoli e sette piccoli fondi con ulteriori quattordici fascicoli è ricostruita l’attività di un numero imponente di sezioni distribuite capillarmente nel territorio provinciale. I socialisti friulani, via via che si svolgeva la loro attività politica hanno ritenuto necessario comporre un diario collettivo da affidare, con legittimo orgoglio, ai posteri affinché potessero conoscere il dibattito, le idee, gli scontri e le elaborazioni che riguardavano i problemi locali e nazionali. Il professor Tiziano Sguazzero, autorevole studioso della vita politica regionale del secondo dopoguerra, integrando il contenuto dell’archivio con le altre fonti di conoscenza dell’attività del Partito socialista e degli altri partiti in Friuli, ha composto un affresco completo, efficace e appassionante. È emersa, fin dai primi anni del dopoguerra, l’impostazione federalistica europea del Partito socialista friulano e volta costantemente a tutelare le minoranze nelle zone di confine. L’obiettivo finale, pur nelle diverse impostazioni dei suoi principali esponenti, è stato quello di promuovere un socialismo nella libertà e nella democrazia con il recupero di una parte del “socialismo degli albori”, la condanna del collettivismo . Cruciale è stata la questione dei rapporti con il mondo cattolico nella faticosa ricerca di contemperare i principi di laicità dello Stato e dell’istruzione pubblica e la più ampia tutela della libertà religiosa. Costante è stato l’impegno per i diritti civili e per il ruolo delle donne nella società. Ma il movimento socialista friulano ha inciso anche a livello nazionale con i propri parlamentari. Umberto Zanfagnini nel 1953, assieme a Ferruccio Parri, Piero Calamandrei e Antonio Greppi ha fondato Unità Popolare che è stata decisiva nell’impedire che scattasse l’applicazione della “legge truffa”. Loris Fortuna è considerato il padre della legge sul divorzio del 1970. La percentuale del “no” nel referendum del 1974 in Friuli è stata più alta rispetto alla media del Paese. C’è poi il periodo che va dal 1992 al 1994, con la cosiddetta “tangentopoli” che ha visto lo scioglimento del Psi. La responsabilità politica è diversa da quella individuale e pertanto quando un partito non ha la forza per superare i momenti di grave difficoltà deve imputare prima di tutto a se stesso il proprio venir meno. Su tutto il resto il dibattito è aperto, Rimane un’ultima questione. Ha ancora un senso definirsi socialisti? Per quanto mi riguarda rimango dell’opinione di Norberto Bobbio il quale diceva: «Se voi mi invitaste a scommettere sulla salvezza ultima dell’umanità, non accetterei. Sono disposto a scommettere invece in favore dell’affermazione che l’unica via di salvezza è lo sviluppo della democrazia, verso quel controllo dei beni della Terra da parte di tutti e la loro distribuzione egualitaria, in modo che non vi siano più da un lato gli strapotenti e dall’altro gli stremati, che si chiama socialismo»