Friuli: nella tradizione l’Epifania è un inizio più che una chiusura


di CRISTINA BURCHERI

 
«La Chiesa ha fissato i riti della benedizione dell’acqua, dei cibi (come simbolo della terra), del fuoco (ceppo, Stella) al solstizio d’inverno; li rinnova per la Pasqua delle Rose (Pentecoste) e per la Pasqua Maggiore: a Natale-Epifania per nascita-battesimo di Cristo, a Pasqua per la sua ri-nascita-resurrezione»: spiega dalle pagine di “Tradizioni popolari in Friuli” (Società Filologica Friulana – Chiandetti editore) Andreina Nicoloso Ciceri che, occupandosi del solstizio d’inverno e dei riti legati a questo periodo, prosegue: «La Benedictio aquae in vigilia vel festo Epiphaniae Domini era un uso assolutamente esteso e del resto si pratica tuttora, ma un tempo la gente vi portava cibi da consumare come panacea, e specialmente sale, utile per proteggere anche il bestiame. Nel Comune di Budoia la benedizion dai pons, dei pomi, si accompagnava con un uso molto interessante, cessato solo dopo il primo conflitto mondiale, la benedizione del mado (una piccola pianta sempreverde, un ginepro o, più raramente, un pino o un alloro)». A proposito di questa originale usanza Nicoloso Ciceri ci informa: «Il mado era alto uno o due metri e veniva sistemato in un cesto zavorrato. Normalmente erano le ragazze ad avere il compito gradito di allestire il mado appendendo ai suoi rami: mele, arance, mandarini, arachidi, noci, carrube, castagne secche ed immagini sacre». Ultimi ornamenti a essere apposti erano lana colorata, nastri di spose, fazzoletti sgargianti. Questi madi così riccamente decorati erano disposti in fila, nel corridoio tra i banchi, in chiesa, e dovevano costituire uno spettacolo unico.<br />
«Questi ornamenti colorati, più che a un richiamo all’albero natalizio – commenta Nicoloso Ciceri – costituiscono un presentimento carnevalesco, come avveniva nel rito di San Pietro in Carnia».
«A San Pietro – descrive la studiosa – porta la croce un bambino, che se la tiene stretta al petto, celata da una lunga sciarpa di seta (il vêl), che gli avvolge le spalle. La gente lo chiama la mascarute, immaginando nel bambino così parato l’ingresso del carnevale».
Anche in altre località della regione l’Epifania, più che “portar via le feste”, apriva un altro periodo: il Carnevale. I tizzoni spenti e le ceneri dei fuochi epifanici erano usati in Friuli per fare la maschera: i giovanotti sporcavano il volto delle ragazze quasi ad annunciare l’entrata del carnevale. In altre località i resti del falò epifanico erano custoditi per tornar utili il giorno delle Ceneri.