Friuli: perché le gare d’appalto nel settore edile vanno a finire deserte

di Luigi e Sandro De Sabbata
imprenditori edili – Majano

La crisi sta mordendo il settore delle costruzioni e non si intravedono concrete prospettive di rapida ripresa. In questo contesto, che coinvolge pesantemente anche l’indotto, compreso quello commerciale, l’intervento del settore pubblico può diventare determinante per evitare il tracollo di un comparto vitale per l’economia della nostra regione. Ma ciò non sta avvenendo. Anzi. Esemplare è il caso dell’appalto della scuola Nievo di Udine che è andato deserto. In un momento critico come l’attuale è doveroso chiedersi come sia possibile che una gara di appalto con un importo a base d’asta di 2,7 milioni di euro vada deserta!  Le risposte a questa domanda, che abbiamo letto e udito, sono convenzionali, se non banali. Comunque ignorano la realtà del problema, per nasconderla. È credibile che le imprese non partecipino a una gara d’appalto così significativa soltanto perché la scadenza per la presentazione delle offerte è a ridosso delle festività natalizie? È verosimile che le imprese non partecipino alla gara d’appalto a causa delle complesse modalità di formulazione dell’offerta? L’evidente risposta è no! Le imprese, in quanto tali, antepongono il lavoro a ogni altra situazione, comprese le festività natalizie. Le imprese, per restare sul mercato, hanno imparato a districarsi tra bizantinismi, burocrazia e oneri procedurali. Per esse l’essenziale è lavorare, produrre utili e contribuire possibilmente al rilancio dell’economia. Allora il problema è un altro. Ed è più semplice, anche se grave. Nella gara di appalto per la scuola Nievo, alla quale ci siamo rifiutati di partecipare, oltre all’onerosità delle migliorie richieste, la verità è che la gran parte dei prezzi proposti nella gara di appalto non è remunerativa o non permette esecuzione di lavorazioni a regola d’arte. Ciò significa che l’impresa che eventualmente si fosse aggiudicata l’appalto della scuola Nievo sarebbe stata destinata a chiudere il cantiere in perdita. Hanno valutato questo aspetto i progettisti e gli uffici comunali responsabili del procedimento? A suo tempo, alle nostre rimostranze hanno risposto o infastiditi o dimostrando ottimismo di facciata sull’esito dell’appalto (qualcuno di certo parteciperà alla gara!). Costringere un’impresa a lavorare in perdita significa incrinare un rapporto virtuoso e trasparente che vede correlati, seppure ben distinti tra loro come deve essere, il committente dell’opera pubblica, il progettista dell’opera e l’impresa. Protagonisti di un percorso che dovrebbe tendere al raggiungimento dell’obiettivo finale nel rispetto dei rispettivi ruoli e delle regole di mercato. Costringere un’impresa a lavorare in perdita significa anche innescare, coscientemente, un meccanismo perverso che non riconosce la dignità imprenditoriale, che disconosce la funzione sociale che indirettamente l’impresa esercita, che mortifica le competenze, i valori, le storie, le fatiche e i sacrifici che sono alla base dell’essere impresa. Che soprattutto può creare pesanti conseguenze economiche e sociali. Allora perché questo accade? Perché solo ora le associazioni imprenditoriali protestano, ma non sono intervenute prima, durante la fase di gara, segnalando ciò che soltanto ora è denunciato alla pubblica opinione? Ma, infine, domandiamo: perché dobbiamo assistere passivi all’eutanasia di una nobile professione, quella del costruttore? Perché non rialziamo la testa?<br />