Friuli: quando le donne carniche vendevano i capelli agli occitani “cjavelârs”

di Luciano Santin.

La ricostruzione di una piccola epopea che unì i due estremi dell’arco alpino, questo Cjavelârs e pelassìers. La strade dai cjavei di Elva al Friûl, documentario a quattro mani realizzato da Fredo Valla, ricercatore e filmmaker di Ostana Po, e da Nereo Zeper, già regista della sede Rai del Friuli Venezia Giulia. Messo in onda da questa due anni fa, viene oggi edito in dvd dalla Chambra d’Òc, equivalente occitano della Filologica Friulana. È la storia degli abitanti di Elva, paesino di Val Maira, nel Cuneese, a 1770 metri di quota, che l’autunno lasciavano i campi e si trasformavano in microcommercianti, molto affini ai cramârs, a partire dal basto a scomparti portato in spalla. Compravano, non vendevano, i pelassìers. Compravano una merce pregiata, i capelli. E ne trovavano tanti in Friuli, dove venivano chiamati cjavelârs. “Rapatori” e “capellieri” volendo tentare neologismi italiani, che parlavano lingue diverse, l’occitano e il friulano, ma si capivano, perché l’oggetto della trattativa era elementare (anche il film, che raccoglie ricordi di protagonisti o discendenti, è rigorosamente bilingue e sottotitolato). Punto storico di ritrovo era Codroipo. Di lì i pelassìers risalivano le valli, specie della Carnia, perché i capelli delle donne di montagna erano i più fini e delicati («Nessuno voleva quelli della Bassa Italia, troppo grossi», racconta un testimone); ricercatissimi, con i biondo-cinerini, quelli bianchi, chiesti nientemento che dalla Camera dei Lord di Londra. Più lunghi erano, più valevano: una delle protagoniste ricorda che la nonna li aveva fatti crescere fino alle ginocchia: due trecce da 420 grammi, pagate 1.020 lire, cifra più che ragguardevole per l’epoca (tra le due guerre, anche se il commercio andò avanti sino agli anni 50). Portavano sollievo e tormento i cjavelârs: un aiuto al magro bilancio familiare, ma anche un momento di umiliazione, perché appunto attestazione di povertà, vissuto male soprattutto dalle ragazzine, che poi, a scuola, dovevano vedersela con le strofette di dileggio («Tonda pelonda, l’hanno messa sotto un ceppo, l’hanno rapata tutta a zero, quella povera fanciulla, iohi, iohi»). I capelli partivano in treno verso il Piemonte, e ad Elva c’erano laboratori domestici pronti a prepararli, in base a ordinazioni spesso tassative («Una volta abbiamo fatto una spedizione a Berlino, 150 chili; in mezzo avevamo messo un treccia di capelli ricci», ricorda una vecchia paesana. «Dopo otto giorni arriva una lettera con la treccia: “Eravamo d’accordo che li volevamo lisci, non ondulati”. I tedeschi sono sempre stati così!»). E a primavera gli uomini tornavano a casa, con una buona esperienza di vini friulani, e cantando Stelutis alpinis. Un bel lavoro, che, se non trovato in libreria, può essere richiesto (al prezzo è di 14 euro), a [email protected], o allo 0171-918971.

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