Friuli: realismo cinico e idealismo generoso, la politica deve saper mostrare il proprio sacrificio

di Delio Strazzaboschi
Per anni la sensazione di piena apertura ha stimolato a pensare positivo. Oggi i giovani sentono invece che lo spazio è altrove, che il futuro gli è stato rubato. A forza di scattare a vuoto, confidando nella buona sorte (per esempio per trovare un lavoro finalmente decente) e rimanere poi sempre delusi, la loro molla si è inceppata. Inutile di conseguenza farsi venire l’acquolina in bocca davanti a una pasticceria se il gestore esce e spiega che i dolci esposti sono finiti e che il negozio chiuderà il giorno dopo. Immerse in eterno presente, classi dirigenti che ragionano solo in previsione del telegiornale della sera o delle prossime elezioni, decidono tutto in un attimo anche di fronte ai più gravi problemi economici e sociali. Eppure non avremmo bisogno di grandi riforme, ma ovviamente di rimozione delle rendite (quelle professionali per cominciare) e semplificazione dell’enorme quantità di burocrazia, perché da noi chi ce la fa senza aiuti e raccomandazioni ha dovuto sostenere sforzi probabilmente dieci volte superiori di quelli che avrebbe sostenuto per le stesse ragioni all’estero  Invece, niente si progetta e nulla lascia traccia. Ormai ovunque in Italia chi dovrebbe fare non ha né voglia né alba, chi vorrebbe e saprebbe fare non ne ha il potere. Nondimeno, affinché le cose cambino davvero non basta la lotta morale dei giovani o di una minoranza; occorre saper coinvolgere la maggioranza degli uomini, vulnerabile alle lusinghe dei potenti poiché bisognosa di protezione e usa alla sottomissione: ridurre la distanza fra le avanguardie e tutti gli altri per limitarne la dipendenza da chi comanda e innalzarne la dignità. Perché il potere non sta mai fermo, contagia e corrompe per mantenere gli uomini in uno stato di perenne immaturità, come fossero bambini. E quando i rapporti di forza sono così tanto squilibrati è difficile, di conseguenza, pretendere atteggiamenti esemplari, resistenze eroiche; molto probabile che i più decidano di sopravvivere nell’attesa di tempi migliori, arrendendosi allo stato (iniquo) delle cose. Anche perchè contro le minoranze attive intervengono ben altre strategie, come la denigrazione e l’isolamento, per far terra bruciata intorno ai migliori presentandoli come aristocrazia presuntuosa, per screditarli e allontanare chi potrebbe imitarli, lasciando le avanguardie senza eserciti ed arruolando la maggioranza alle proprie dipendenze. Ma, premesso che ognuno è libero di darsi le arie che vuole, scegliere di mostrarsi modesti non è la stessa cosa che esserlo davvero. All’uomo autonomo, che aspira all’espressione di sé e alla sua emancipazione nella sfera pubblica, si contrappone così il puro consumatore che compara le merci, politica compresa, e persegue l’unico programma del proprio privato tornaconto, rendendo la coesione sociale sempre più ardua proprio a causa della sua caricaturale idea di autonomia. Forse bisognerebbe considerare tali imperfezioni e fragilità, per impedire che su ciò continui a far leva la conservazione che respinge ogni cambiamento, provando a scoprire inaspettati aneliti di libertà perfino nell’evasione delle feste. Senza rinunciare però a correggere il mondo. Per migliorare la propria condizione, ma anche per far contare di più la giustizia, deve essere superato lo stallo fra un realismo cinicamente capace di governare le cose e un idealismo generoso che finisce sempre per fallire. La politica deve saper mostrare il proprio sacrificio attraverso persone coraggiose, ispirate a valori collettivi non paravento di privati interessi, e per le quali la testimonianza non evochi il processo penale ma la pratica capacità di far onore alle proprie idee, perché senza una radicale mobilitazione etica la politica muore.