Friuli: retrospettiva del regista Marco Bellocchio, dal 7/02 al Visionario e dall’8/02/2012 a Cinemazero di Pordenone

di Gian Paolo Polesini

Sarà sguardo introspettivo e, nel contempo, totale. Più di sempre. Marco Bellocchio è, in ordine, l’ultimo dei Maestri scelti dell’arcinota rassegna di Cec, Cinemazero, Cineteca del Friuli, Teatro Miela e Cappella Underground. Degno di una schiera immortale – Bresson, Buñuel, Tati, Ophüls, Dreyer, Fellini, Bergman, Welles, Resnais, Mizoguchi, Losey, Godard e Bertolucci – per la sempre immutata forza dei suoi film, nel 1965 (I pugni in tasca) come nel 2010 (Vincere). Uno dalla «longevità creativa», sintetizza il direttore di Cinemazero Andrea Crozzoli. «E un uomo – aggiunge – che ha nella curiosità la molla per alzarsi al mattino. Un vecchio motto di Fellini quando voleva sottolineare uno dei grandi pregi per fare cinema. Se ti manca la spinta, cambia mestiere». Pare coincidenza voluta proprio nel bel mezzo del battage politico-cinematografico per La bella addormentata, opera ispirata (e il concetto “ispirata” è stato più e più volte sottolineato con la matita rossa) alla morte di Eluana Englaro, film ancora in divenire – il primo ciak è previsto per il 6 febbraio a Udine – e già preda di contestazioni. Tocca scindere gli scranni del potere dall’arte, ancora una volta. E noi ci occupiamo d’arte, se dio vuole. «In effetti – spiega Crozzoli – il tributo a Marco, guarda caso nello stesso periodo chiamiamolo udinese del regista, potrebbe sembrare un disegno ben architettato, invece proprio no. Quando decidemmo di offrire il proscenio a Bellocchio, il suo film era in fase embrionale e con poche possibilità di realizzazione». Giusto per mettere giù una data, così da rendere più chiari i contorni di una poderosa rassegna, il primo gong suonerà martedì 7 febbraio, al Visionario, con la sua folgorante pellicola d’esordio, I pugni in tasca (1965), un impatto inatteso e deflagrante che ha permesso al regista d’iscriversi a pieno titolo nella stagione del nuovo “giovane cinema italiano” degli anni Sessanta. «L’esordio più clamoroso della storia – puntualizza Crozzoli – nessuno come lui. Un manifesto anticipatore della rivoluzione sessantottina che ancora oggi gode di una forza straordinaria». Bellocchio, non lo direbbe nessuno, ha settantré anni (li compirà il 9 novembre). Esibisce l’anda di un giovanotto, «al contrario di Pupi Avati – dice sorridendo Crozzoli – che ha più o meno la stessa età, ma sembra un nonno da accompagnare con cura in stazione». E non è solamente una questione anagrafica o di esteriorità – si sa, qualcuno si conserva bene, altri sono anziani a trent’anni – il regista piacentino di Bobbio «non la smette mai d’incamerare dati, ha la meravigliosa voracità di chi continua ad avere fame di ogni cosa. Mesi fa lo andai a prendere all’aeroporto di Venezia e durante il viaggio mi tempestò di domande sulle Giornate del Muto e su Cinemazero. Oltre a essere un formidabile affabulatore, come ormai ne sono rimasti pochi. Ti sembra di sentir parlare un Pasolini, che ne so, un Tonino Guerra, ecco. I saggi, per capirci». Il vantaggio del grande schermo. Parliamone. I cinefili, be’, avranno ingollato l’intera filmografia di Bellocchio. Ma per rivederla non resta che il piccolo, di schermo. Con il rispetto per l’ormai super televisore in hd e, volendo, da 60 pollici, al cinema è diverso. Ammettiamolo. Ricorda Crozzoli: «Rividi a Berlino un Totò d’annata. Ovviamente ripassato più volte in tv. Fu stupore inaspettato. Come se fosse la mia prima volta. Abituati a sprofondare in poltrona col telecomando in mano, ci stiamo perdendo il piacere vero». Un visionario e poeta, pur restando ancorato all’attimo fuggente. Prendiamo Buongiorno, notte. Bellocchio sogna di liberare Aldo Moro. Racconta storia vera rendendola malleabile alle speranze. E Vincere? «Pare costruito da un giovane regista – ci tiene a precisare Crozzoli – tanta innovazione c’è là dentro. Uno a settant’anni, solitamente, molla e rincorre il già percorso. Lui, no».