Friuli: salta il piano di salvataggio della Stratex

di Domenico Pecile.
Lo scorso mese di agosto aveva chiesto il concordato: un passaggio difficile, ma necessario per ripartire dopo lo stallo causato da un micidiale mix fatto di tempi di incasso troppo dilatati ma anche dall’esposizione verso commesse impegnative. E pochi giorni fa è trapelata la notizia, come un fulmine a ciel sereno, che il piano di salvataggio è saltato. Il giudice non ha infatti asseverato il piano concordatario. Così sulla Stratex – impresa con mezzo secolo di attività alle spalle soto la bandiera dell’eccellenza made in Friuli appena passata alla ribalta mondiale con prestigiose realizzazioni firmate da Expo – è sceso il buio . Nonostante l’azienda sia stata protagonista di una crescita di fatturato più che raddoppiato nell’ultimo anno. E nonostante nel 2014 sia stata capace di raggiungere i 30 milioni di ricavi che ha bissato anche nel 2015. Ma i tempi sempre più prolungati degli incassi dei crediti e la forte esposizione per alcune importanti commesse ottenute hanno costretto Stratex – che ha 80 dipendenti e impianti a Sutrio e a Palazzolo dello Stella – a rimettersi al tribunale. L’azienda della famiglia Plazzotta, che da piccola segheria nata negli anni Cinquanta si è trasformata in un interlocutore globale nel selettivo mercato delle costruzioni, si è ritrovata incagliata nella palude di crediti da milioni e milioni di euro che hanno prosciugato la liquidità, paralizzando la struttura produttiva. Non era rimasto che chiedere il concordato. Nessun commento dai vertici aziendali. Parla invece Francesco Gerin, della Cgil: «È una situazione complicata, difficile. Dispiace per tutti: dai dipendenti al management. Tutti – afferma – hanno continuato a lavorare anche in questi mesi a testimonianza che appalti e commesse non mancano. L’azienda ha pagato sempre tutti regolarmente, ditte appaltatrici e dipendenti e posso anche aggiungere che il Durc (documento unico di regolarità contributiva) è assolutamente regolare. Eppure…». Eppure Stratex rischia la chiusura. «Questa situazione – insiste Gerin – è figlia del mancato supporto finanziario. Le banche non vogliono intervenire in un settore come quello delle costruzioni particolarmente esposto». Neppure Friulia, che pure partecipa con il 28 per cento, è intervenuta. «Credo – chiosa Gerin – che non si sia voluto crare le condizioni per salvare un’azienda ancora molto appetita sul mercato, con diversi appalti in fieri e che pochi giorni fa ha incassato il corrispettivo di un importante appalto regolarmente portato a buon fine».