Friuli: tecnici friulani rientrati dalla Libia: «La Farnesina ci ha abbandonato»


dal sito del Messggero veneto

Mentre i 12 dipendenti della Danieli di Buttrio bloccati a Misurata, in Libia, rientreranno  in Italia via mare (a mezzanotte di ieri aspettavano ancora di potersi imbarcare), ieri sera è finito l’incubo per i venti dipendenti della Ravanelli di Venzone. Alle 18.55 hanno letteralmente baciato il suolo italiano appena scesi dalla scaletta del volo Alitalia proveniente da Il Cairo. Nella serata sono poi arrivati a Ronchi dei Legionari, dove ad attenderli c’erano anche il titolare e la moglie Tiziana Zuzzi. Quindi il rientro nelle rispettive famiglie. Paolo Della Morte, dirigente quadro della Ravanelli, originario della provincia di Lecco, «d’un paesino di montagna», è stato il portavoce della società in questi ultimi giorni “caldi”. «Siamo sfiniti, ma felici di essere rientrati», afferma e subito il suo pensiero va alla Farnesina. «Posso soltanto lamentarmi nei confronti del ministero degli esteri: inefficiente a dir poco, perché nelle fasi dei giorni caldi iniziali ha fatto soltanto confusione. Ho le e-mail sul computer che lo confermano. Sono senza tatto e velocità, non è gente delle nostre parti alla quale fai una domanda e ottieni una risposta. L’ambasciata di Tripoli è stata valida nelle informazioni, poi in concomitanza con un attacco al campo base, uno della sicurezza ci ha detto: “Andate, siete in pericolo!”. Così abbiamo fatto in fretta le valigie, si è gelato il sangue a tutti e soltanto dopo abbiamo saputo che erano semplici sciacalli che volevano approfittare della situazione. Sono subito stati individuati dai nostri uomini della sicurezza. Con loro c’è stato un conflitto a fuoco la sera del 21 febbraio e così si sono allontanati. Non dimenticherò più quel 22 febbraio, giorno del mio 41º compleanno».<br />

L’odissea, però, doveva ancora cominciare. Sempre Della Morte, che parla al telefono da Fiumicino, in attesa di rientrare in Friuli: «Abbandonato Tobruk ci hanno detto che l’ambasciata del Cairo ci avrebbe preso in carico e poi fino a destinazione. Arrivati in terra egiziana, dopo aver salutato i “nostri” ragazzi libici dipendenti, che si sono messi a piangere perché il rapporto con loro era diventato stretto, abbiamo realizzato che non c’era nessuno: allora ho chiamato l’ambasciata, martedì pomeriggio. Eravamo a 800 chilometri dal Cairo, la dogana era chiusa, avevamo bisogno di assistenza immediata. Ma ci dicevano che al Cairo c’era il ministro Frattini e tutti erano impegnati… Così con i nostri soldi siamo andati ad Alessandria d’Egitto e allora abbiamo avuto la fortuna di essere aiutati dal console reggente ad Alessandria, la dottoressa Aurora Lufino. Siamo arrivati all’una di notte e, a spese del consolato, ci hanno sistemati in un albergo a 5 stelle, con le cucine aperte, e il console è stato con noi fino alle 3.30». Quindi ieri con un autobus al Cairo, biglietti pagati e assistiti all’aeroporto da un altro console del Cairo.  Sul volo Alitalia erano in venti. A Trieste soltanto 15 perché due romeni, due bulgari e un sardo hanno preso le rispettive strade di casa. In Libia è rimasto Luca Martinotti, un impiegato amministrativo che dovrà sbrigare le ultime cose come pagare gli ultimi dipendenti, «per dimostrare – spiega ancora Della Morte – che la Ravanelli è un’azienda serissima; poi sarà scortato in Egitto e tornerà in Friuli. Ripeto: la console Lufino ad Alessandria è stata una persona di altissimo livello umano e professionale, l’unica che si è distinta. Ci è andata bene – chiosa il dirigente quadro della Ravanelli – dovevamo baciare per terra e l’abbiamo fatto: santa patria Italia».

 

E adesso? L’azienda, specializzata in lavori di urbanizzazione, aspetterà che la situazione torni calma per rientrare in Libia e continuare la commessa: per terminare il lavoro appena iniziato – un affare da 100 milioni di euro – ci vorrà ancora qualche anno.

2 Risposte a “Friuli: tecnici friulani rientrati dalla Libia: «La Farnesina ci ha abbandonato»”

  1. aggiornamento del 24/02/2011

    GIACOMINA PELLIZZARI dal MV di oggi

    I combattimenti in corso e il mare forza 5 hanno impedito il rimpatrio dalla Libia dei 12 dipendenti della Danieli. A Buttrio, ieri, l’unità di crisi per l’intera giornata è rimasta in contatto con la Farnesina per organizzare il rientro in sicurezza dei tecnici bloccati nel villaggio a 250 chilometri da Tripoli. Ma il tentativo è stato posticipato a oggi.

    La tensione in quella zona della Libia è altissima anche per questo, ieri, la nave “Miramelli” che si trova al largo di Misurata, non ha ottenuto l’autorizzazione per attraccare e consentire così il rimpatrio dei circa 400 italiani rimasti (all’inizio degli scontri i nostri connazionali erano 1.500), tra i quali i 12 dipendenti Danieli. Anche se i lavoratori friulani stanno tutti bene, a Buttrio si vivono queste ore con particolare apprensione. E come se non bastasse, ieri, anche le condizioni atmosferiche non hanno favorito la partenza delle navi. Il mare forza 5 ha ulteriormente complicato i trasferimenti.
    L’obiettivo è far rimpatriare i dipendenti, ma ieri sera l’azienda friulana non si è sbilanciata né sui tempi, né sul mezzo che riporterà i lavoratori a casa. «Il rientro potrebbe avvenire tra le 24 e le 48 ore, si pensa via mare» ha riferito il responsabile delle risorse umane estero, Luca Ortolani, nell’assicurare che i lavoratori nel villaggio dove si trovano bloccati da giorni finora non hanno corso rischi. Questo nonostante a Misurata gli scontri tra i rivoltosi e le forze governative continuino a tenere alta la tensione. «Nel villaggio si sentono gli spari» aggiunge Ortolani evitando di aggiungere ulteriori dettagli. In questo caso la riservatezza regna tra i responsabili del gruppo Danieli che coordinano l’operazione. «Domani mattina (oggi ndr) tutto potrebbe andare a buon fine» si limita a dire Ortolani lasciando intendere che, in questa situazione, il condizionale è d’obbligo.
    Il gruppo Danieli sta coordinando il rientro ad ampio raggio mantenendo i contatti con tutti gli italiani impegnani nel cantiere a 250 chilometri a est di Tripoli. Si tratta di 90 tra tecnici e operai appartenenti a un consorzio di ditte con “Ferretti international” e “Tecnomontaggi” di Brescia. A questi si aggiunge una quarantina di dipendenti dell’Impregilo situati dall’altra parte della città. «Il nostro capo cantiere – fa notare Ortolani – coordina tutti gli italiani presenti nella zona». Tutto questo mentre a Buttrio non mancano i contatti con le navi militari italiane e con la Farnesina.
    Inevitabile l’ansia con cui vivono queste ore soprattutto i familiari dei lavoratori bloccati in Libia. Seguono minuto per minuto l’evolversi della situazione auspicando di ricevere la notizia: «Sono partiti».

  2. aggiornamento del 28/02/2011

    Stanchi e visibilmente provati dalla tensione vissuta nei giorni di guerra a Misurata, in Libia, e dal viaggio di rientro a bordo della nave militare San Giorgio con il mare forza 5, gli otto dipendenti friulani della Danieli, ieri sera, sono stati accolti all’aeroporto di Ronchi dei Legionari tra gli applausi e gli abbracci dei parenti. «In alcuni momenti abbiamo temuto il peggio – hanno raccontato –, ma i capi tribù ci hanno aiutato».

    Arrivato con un quarto d’ora di ritardo, il volo Alitalia con a bordo gli otto tecnici è atterrato alle 18.45. Il gruppo era arrivato ieri mattina, alle 9, in Italia con la nave San Giorgio che ha attraccato al porto di Catania. Lunga l’attesa dei familiari riuniti assieme al responsabile dell’unità di crisi Danieli, l’ingegner Fulvio Roman, e il direttore delle risorse umane estero, Luca Ortolani, con largo anticipo a Ronchi dei Legionari. Mamme, papà, mogli e figli, sorelle e nipoti, tutti non vedevano l’ora di verificare di persona quello che l’azienda gli aveva ripetuto da giorni: «Stanno tutti bene». Non vedevano l’ora perché nell’ultima settimana le comunicazioni con Evelino Zanzaro, Alessandro Trevisan, Adriano Floreani, Denis Del Piccolo, Vito Oliva, Mario Pirioni, Massimo Concetta e Roberto Tonello, sono state davvero difficili, qualche contatto via Skype e poco altro. Domenica 20 febbraio, infatti, è scattato il blocco dei telefoni satellitari sui quali si poggiava l’ambasciata: «E’ stato allora che abbiamo ipotizzato l’evacuazione» ha raccontato Roman nel ripercorrere il fallito tentativo di rimpatrio con i C 130 e l’organizzazione del rientro via mare.
    Momenti davvero complicati che hanno richiesto tanto sangue freddo all’interno del cantiere diventato, nella città in fiamme, un punto sensibile. Tutto è andato per il meglio solo grazie ai contatti che i dipendenti Danieli avevano sul territorio. Basti pensare che nell’ultima settimane, come ha raccontato Adriano Floreani, sono riusciti a comunicare usando una rete telefonica locale e un scheda ricaricata dai libici.
    E se non fosse stato per i capi tribù il cantiere non sarebbe stato sorvegliato dalle ronde notturne. All’interno, infatti, i 12 dipendenti Danieli sentivano le sparatorie, ma non hanno mai corso alcun pericolo. Il vero pericolo l’hanno toccato con mano nell’aeroporto di Misurata quando il C130 che doveva riportarli in Italia è stato scambiato dagli insorti per un mezzo dei mercenari. «Lì abbiamo rischiato molto» ha assicurato il geometra Sergio Galliussi, dipendenti della Ferretti, un partner del gruppo Danieli. «Abbiamo visto i pik-up con le mitragliatrici entrare dentro l’aeroporto dove si era riversata anche la popolazione» hanno aggiunto soffermandosi sulla grande confusione nella quale uno di loro si era perso. E’ stato recuperato dall’ultimo mezzo del gruppo costretto, a quel punto, a rientrare in cantiere. Qui, qualche ora dopo, si sono presentati due capi tribù per garantire la sicurezza nel cantiere. «Sono stati loro a metterci a disposizione le ronde notturne» ha aggiunto Adriano Floreani, mentre Evelino Zanzaro ricordava con quanta ansia seguivano le immagini trasmesse da Al Jazeera anche prima di salire a bordo delle autocorriere, scortate dagli insorti, con le quali hanno raggiunto il porto industriale di Misurata messo a disposizione dal cliente Danieli “Lisco”. Qui è avvenuto l’imbarco con le unità da sbarco Gsp sulla nave militare San Giorgio del battaglione San Marco. E nel bel mezzo dell’operazione non sono mancati i momenti di panico: «Con 70 persone già a bordo, la notizia dell’imbarco ha fatto il giro del mondo e nel porto di Misurata si sono riversati tutti coloro che non avevano contatti fuori dalla Libia. Anche in questo caso l’imbarco di massa è stato impedito dagli uomini della security messi a disposizione da Lisco.

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