Gemona: nella sanità c’è la mancanza di un disegno organico

di Sandro Venturini
capogruppo Lista Civica “Con te Gemona”

Sono quasi 18 anni che a Gemona, ma non soltanto, ovviamente, il tema della sanità e delle sorti dell’ospedale tengono banco. A ogni Piano Socio-Sanitario regionale, a ogni accenno di riforma, i timori riaffiorano. E adesso ci risiamo, siamo daccapo. Era lo scorso 27 settembre, quando – con una inversione a U rispetto ai programmi e agli impegni pre-elettorali – il governatore Renzo Tondo annunciava «la costituzione di un’unica azienda sanitaria territoriale per l’intera Regione e di due aziende ospedaliere universitarie», una a Udine e una a Trieste. Un fulmine a ciel sereno, che nel Gemonese rischia di trasformarsi in un nubifragio con danni irreversibili. Qualora fosse attuato, il predetto riassetto organizzativo porterebbe alla chiusura della sede della direzione generale dell’Ass (azienda per i servizi sanitari) numero 3, all’accorpamento dei distretti del Gemonese e della Carnia, alla messa a repentaglio della delega del Servizio sociale, con ripercussioni immediate sulla continuità della cura e dell’assistenza, all’incorporazione degli ospedali di Gemona e di Tolmezzo all’azienda ospedaliera udinese. In un solo colpo Gemona perderebbe la sede dell’azienda sanitaria e del distretto socio sanitario, e l’ospedale, in un abbraccio asfissiante con Udine, rischierebbe un forte ridimensionamento dei servizi o, peggio, la chiusura. In ultimo, il servizio sociale – che ora è affidato in delega dai Comuni all’azienda sanitaria nella logica dell’integrazione socio-sanitaria (prevenzione, cura, riabilitazione e assistenza sanitaria e sociale devono andare di pari passo) tornerebbe in capo ai Comuni, i quali, oltre ai mille problemi che già li assillano, si ritroverebbero a dover gestire anche questa funzione. Ciò che inquieta soprattutto è la mancanza di un disegno organico e del coinvolgimento degli attori sociali (amministratori locali e operatori sanitari innanzitutto). Tutto quello di cui si viene a conoscenza passa unicamente attraverso la stampa e discorsi di corridoio. Si paventano risparmi di spesa, razionalizzazioni, nuovi modelli organizzativi, ma, di tutto ciò, non c’è un pezzo di carta, un documento ufficiale della Regione che ne illustri gli obiettivi, i contenuti generali, gli assetti. Non si costruisce un buon edificio se manca il progetto e se le “maestranze” non operano in modo coordinato. Non solo gli obiettivi sono oscuri, ma non si conoscono nemmeno esplicitamente i veri motivi che inducono a programmare questa riforma. Soltanto economici? Perché demolire il sistema sanitario dell’Alto Friuli se in questi anni ha dimostrato buona qualità dei servizi e soprattutto sostenibilità economica? I bilanci dell’Ass 3 hanno sempre chiuso in attivo. Perché non fare una semplice manutenzione di sistema, migliorandolo e rendendolo ancora più efficiente, anziché stravolgerlo con seri rischi di destabilizzazione complessiva? Perché non lasciare i centri di governo più vicini ai territori? Perché non prendere atto che i bisogni di salute della Regione sono diversificati (la montagna richiede altre risposte di salute rispetto alla città) e che è necessario quindi diversificare l’offerta portando i servizi sempre più vicini ai cittadini e non l’opposto? Perché non tenere conto, in una logica di sussidiarietà, che i territori più periferici e marginali sono quelli dove sono maggiori le fragilità, ma dov’è minore il potere negoziale e politico? Perché non coinvolgere da subito i portatori d’interesse, ed in primis gli amministratori locali, gli operatori della sanità e le loro rappresentanze, in un processo trasparente e condiviso per definire insieme le sorti della sanità friulana del futuro? Tutte domande a cui mancano le risposte. *